“…Non si possono ravvivare / le catene arrugginite dell’anima, / alle quali mi legavi dritto dritto / come un chiodo aguzzo / infestato di lusinghe. / (“Nella tua semplicità” – Andrea Pergolini)
Nel 2011 l’autore aveva già pubblicato una prima raccolta poetica intitolata “Fiori dell’essere” con Aletti Editore. L’io della giovinezza cede il posto al noi, inteso come condizione universale. Sono poesie concepite come riflessione sull’esistenza più che sull’amore fine a se stesso.
Il poeta è un essere sensibile, che ha ricevuto il triste dono di avvertire il dolore e la lacerazione del mondo. Egli non può opporsi alla caducità dell’esistenza, ma la sua voce diventa illusione di eternità, riscatto morale e anelito verso la felicità divina. Le stagioni influenzano i sentimenti di chi scrive e, simbolicamente, rappresentano la vita.
L’inverno è associato al freddo, all’infelicità e alla fine di tutto; mentre l’estate si identifica col caldo, il sole e la serenità. I momenti di felicità sono però troppo brevi e l’uomo ne è consapevole. Questo dualismo fra luce e buio, inteso come contrasto dell’intero universo, pervade tutta la poetica di Pergolini. Luce che può essere cristallo, come nel caso del titolo della silloge e che improvvisamente può perdere vigore, “spegnersi” fino a diventare cenere.
La natura sembra attendere. La vita si sta “accartocciando”, ma bisogna sperare e saper cogliere quell’istante di sole che porterà nuova linfa. È un uomo “scomposto” il poeta Pergolini, per il quale l’esistenza rimane mistero, che esorta a non limitarsi a lasciare un’impronta mobile nella sabbia, ma di imprimerla nella creta del destino.
La poetica dell’autore è semplice, ma incalzante. Le domande si susseguono e sono rivolte al lettore. Lo coinvolgono, chiedono di poter comprendere. Più volte l’uomo per Pergolini ha smarrito la via e ora è rimasta solo commedia. Il poeta non possiede verità assolute, ma i suoi versi sono eterni perché egli è libero dai pregiudizi.
Il progresso è visto come consumismo che inquina e corrode la vita. Non siamo purtroppo riusciti a fissare salde radici e adesso bisogna svegliarsi per poter procedere “a vele spiegate”. Molte liriche sono dedicate a persone care, parenti, amici, al ricordo dell’amato padre. E mentre il cerchio non si chiude mai perfetto, e la “nube” è sempre in agguato, la barca diventa una figura ricorrente. Vista come occasione di nuova vita, di cambiamento.
Troveremo una meta? Diventa la domanda. Oppure saremo preda di quel freddo che “incatena” e trasforma in marmo l’essere umano? La vita è definita come un “naufragio fluttuante” che necessita un appiglio, un approdo. Nonostante tutto il poeta continua a credere nella capacità dell’uomo di redimersi.
Caino è insicuro, reo di colpe innate. “Lasciate in pace Caino”, grida Pergolini e il buio diventa luce. Speranza. La società è corrotta e corruttibile, vince il silenzio e l’incapacità di reagire. “E voi continuate / a sorridere in parlamento/ e a cenare eleganti.” (“La morte nel cuore”). L’anima rimane pura, importante è rimanere ancorati allo “scoglio del vero” e non cedere a comode illusioni. L’uomo risorgerà dalle sue ceneri, “Araba Fenice” di se stesso e dove un tempo ci si dava la mano, ora si scalano cime. La filosofia diventa desiderio di combattere l’”anestesia dell’anima”.
Siamo corpi imperfetti che attendono la fine, anche se rimangono particelle di sole, da qualche parte, a farci sperare. “Saremo solo luce pulsante / nella turchese lampada di Dio” (“Laus Virginis”) e il poeta si affida alla Beata Vergine, madre delle madri, affinché un giorno lo accolga e gli dia forza ed equilibrio.
Questa in sintesi la silloge poetica di Andrea Pergolini, che vorrei ringraziare per avermene fatto dono. L’opera di un poeta che, andando controcorrente, tenacemente afferma che i valori dettati dai mass media, dal guadagno e dal successo economico, dalla sacralità della merce, del consumismo e dell’apparire sono, in realtà, soltanto disvalori.
Written by Cristina Biolcati