Cristiano Ferrarese e l’urlo messianico della follia

Creato il 29 novembre 2010 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

1967

L’urlo messianico della follia

di Iannozzi Giuseppe

fonte: Jujol Cultura e Spettacolo

Una voce maleducata grida per tutto il 1967, da un manicomio, la sua storia (o leggenda?) o-scena e malsana. Gesù il Cristo come unico referente delle sue azioni e una poliziotta cicciona e sempre ubriaca come propria nemesi… 1967 è la continua deviazione senza sosta della cattiva coscienza collettiva che esploderà muta nell’anno seguente… il devastato 1968… La bellezza per me è anche nella follia. Nel trovare il coraggio di “esporsi”, in questo meraviglioso Museo che è la nostra vita, e diventare così un’unica e irripetibile “Opera d’arte”. – Simone Cristicchi

Di fronte a una scrittura come quella di Cristiano Ferrarese si rimane senza parole, ma non mi si fraintenda: 1967 non è un brutto libro, tutt’altro; è invece una storia nevrotica adrenalina e lisergica – per una volta tanto definire lisergica la scrittura di uno scrittore non è abuso a solo favore della critica più stucchevole e inconcludente. Siamo difatti chiamati a confrontarci con un flusso narrativo che ha la potenza disperata dell’Urlo, di una umanità sull’orlo del collasso, che tra acide visioni à la William S. Burroughs e la dissacrazione mistica del Sé à la Allen Ginsberg, cerca di emergere dalle profondità abissali in cui è caduta, profondità che sono complemento dell’Io ma anche la sua più lucida folle negazione.

1967 è un romanzo? o piuttosto una lunga prosa poetica, urlo dell’anima che graffia le pareti dell’Io con unghie affilate come lame di coltelli? Difficile etichettare un lavoro come quello di Cristiano Ferrarese che non si lascia affibbiare facili nomenklature: è una follia, una lucida follia, un moderno Amleto che s’interroga e che per farlo ha bisogno di uccidere, di correre dietro all’ano sudato della gente per infine in essa affondare. Il protagonista uccide, uccide e rincorre Gesù, per strappargli il cuore dal petto o per sostituirsi ad esso, o (anche) per ascoltare la benevolenza e la tragicità del suo destino: non è semplice dire così su due piedi cosa desideri il protagonista, folle e santo, vittima e carnefice allo stesso tempo. La scia di delitti che si lascia alle spalle lo conduce dritto in manicomio dove viene internato; e qui inizia un rapporto epistolare con Gesù Cristo. Con Sé stesso, a tratti assumendo connotazioni e barlumi dostoevskiani.
1967 è (come) un lungo monologo di epistole soprattutto, di frammenti, di impressioni, di punti di domanda, dove la punteggiatura è di brevi pause, di puntini di sospensione che invadono l’anima dello scrivente nascondendo con abilità qualsivoglia riferimento spazio-temporale. La storia si dispone a favore di un flusso magmatico pronto a esplodere a ogni momento: la follia è protagonista assieme al protagonista che del tempo e dello spazio tutto ignora, eccetto il dolore infinito, che pur risiede in un non ghermibile arco spazio-temporale, in stato fetale per essere abortito ora con lancinante violenza, ora con disperata tenerezza.
1967 è il primo libro di una ideale trilogia, l’autore Cristiano Ferrarese, che promette d’essere una delle voci più originali della nuova narrativa italiana. Risvolti di copertina firmati dal giovane talentuoso cantautore Simone Cristicchi (album pubblicati: 2005 – Fabbricante di canzoni; 2007 – Dall’altra parte del cancello), copertina dell’artista Maurizio Ceccato, completano 1967 di Cristiano Ferrarese.

1967 – Cristiano Ferrarese – Hacca edizioni – cover di Maurizio Ceccato – 160 pp. – ISBN: 978-88-89920-18-3 – 1ma ediz. 2008 – 12 €


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