Cristina Leti, “Terza remigante”

Creato il 09 giugno 2011 da Fabry2010

 

SALA-MACCHINE

Alla fine del terzo giorno,

il fuochista

mi fasciò stretti i polsi,

con larghe corregge di cuoio.

Anche quando il corpo duro

riposa sulla panca,

io sento la tensione

e la pressione

dell’infiammazione sulla slogatura.

Ma è così, m’ha detto, che si diventa elettricisti.

*

BINARIO DUE

È un cappotto marrone

che si muove

lungo questa linea spessa e gialla:

in parallelo al binario due.

Alte le ciabatte di lana sull’esile caviglia

guidano i passi dimenticati,

le parole sfumate,

la testa chiusa dal fazzoletto.

Trascinano il corpo che non ha più ragione né dolore

e quella tua borsa di plastica bianca

che tieni stretta sotto al petto.

Immote le lancette nere dentro al disco bianco,

segnano mezzogiorno e trentadue.

*

BATTERY PARK

I dubbi migliori

si consumano sempre

nello spazio clitorideo.

Tra paradossi idrodinamici

e aumenti di pressione

in corrispondenza delle strozzature.

A me interessa la fisica,

ma pure le boy band.

Ho sognato un campo di grano in carbonio,

respingere il vento verticale di Manhattan.

Aste sottilissime e gialle, lunghe due metri,

rallentare gli spostamenti d’aria

che si creano sotto i grattacieli,

per via dell’Effetto Venturi.

*

I LIBRI HANNO LE ALI

di Alessandro Seri

I libri hanno le ali e grazie a questa opportunità consentono di volare coinvolgendo chi legge in una esperienza panoramica fuori dalla portata dell’umano. Per ogni corpo c’è una piuma speciale che permette l’alzarsi in volo, la terza remigante, la poesia. Un privilegio, il volo, che dona una visione assai ampia del territorio, ma che comporta l’assumersi il rischio delle correnti, quelle che possono far viaggiare per anni oppure far schiantare a terra o ancor più sprofondare nell’abisso di se stessi. Il caro vecchio Walt lo conosceva bene il rischio e provava gran piacere nel cavalcarlo sempre, come i poeti tutti, con la responsabilità del sublime e del disastro. Così questa può essere la discriminante tra quegli umani che di nascosto indossano la terza remigante e chi no: l’assunzione della responsabilità, anche quando non si ha certezza completa, anche quando si ha paura di volare; in sintesi il coraggio di affrontare la parola.

Cristina Leti in questa raccolta intitolata proprio “Terza remigante” sembra aver fatto incetta di audacia lirica e i versi la proclamano custode di un segreto da conservare nascosto dentro una bisaccia sgualcita, un contenitore perfetto per nascondere tutto l’oro del mondo. La perizia geometrica dei particolari stupisce e fissa come intonaco sulle pareti dei testi, in questo caso non c’è bisogno di cercare tra le righe il significato; qui si devono approfondire le righe stesse, si deve espandere la propria sensibilità e abbandonarsi all’idea del ricevere, anche quando la normalità descritta comporta dolore. Pur raccontando i mattoni di una provincia umida, ai miei occhi bellissima, appare forte l’influenza territoriale di una grande madre imperiosa, una Roma donna e matrona, griga di storia, lucida di pioggia che non conforta certo. In alcune poesie sembra in atto il tentativo di recidere il cordone da questa presenza ingombrante, forse inconscia. D’altronde scegliendo di descrivere la vita non si può fare a meno di subirne la geografia e solo una casa può essere riparo agli occhi indiscreti della Potnia.

L’altra traccia lasciata in cielo da questo libro potrebbe essere interpretata attraverso l’ispezione di un sottilissimo e pudico malessere costante, un fremito a metà tra la malinconia e la rabbia: porsi dei dubbi equivale a modellare la personalità verso un alto orizzonte e così anche Battery Park non è più barriera ma giardino, il limen e non il limes, praticamente un invito a conoscere chi ha scritto. Cristina Leti affronta con tenerezza il circolo dei sentimenti evitando bene le inflazioni dei sostantivi simbolici, si prodiga in una struggente descrizione dei deboli, ce li lascia affiancare e sostenere nel loro incespicare, sembra covare un persistente dubbio per le finestre aperte. Scrive di sé, Cristina, ma dobbiamo limitarci, tutti noi, ad osservare da lontano, non abusare del suo spazio, ammirare cauti la narrazione e sorriderne. L’ultimo passo di questo incontro è bene lasciarlo alla saggezza della tradizione rurale, la terra degli avi, coltivata e mai sfruttata, i confini dei poderi sanciti dall’idea persa dell’onore, lo sguardo di belle rughe sulle specie migratrici che segnano più d’ogni altra cosa il tempo e che oggi, aggiornando i versi, sembrano difficili da trovare, proprio come s’è fatto labile il concetto di tempo.

Se si vuole osare la conoscenza, se si ha la forza delle impronte da lasciare sul sentiero, si può approfittare di queste poesie, una scatola di alluminio colorata, un tempo piena di biscotti, la chiave antica di un portone in legno scuro. Cristina Leti, i libri hanno le ali.

*

[La nota di Seri è in prefazione a Terza remigante di Cristina Leti, Lietocolle, 2010]



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