L’apparente perfezione dell’universo (i pianeti che ruotano ordinatamente uno intorno all’altro, intorno ai loro soli, alle loro stelle, le galassie che si muovono in spazi apparentemente infiniti, l’apparente finalismo che connota le funzioni degli organi degli esseri viventi, etc.) viene da sempre considerata come una prova schiacciante dell’esistenza di dio.
Il ragionamento in fondo è molto semplice: nessun altro – si dice – se non un essere infinito, perfetto ed eterno avrebbe potuto creare qualcosa di così maestoso, perfetto e funzionante nella sua armonia, nella sua sincronia, nel suo eterno movimento, etc.
Si aggiunge a questo il fatto che l’uomo in sé è una creatura così perfetta e incredibilmente ben progettata, che necessariamente deve essere stato creato da una mente divina. Dal che quindi si fa discendere l’esistenza di dio.
Per confutare questa “prova” è sufficiente mostrare come il mondo e l’uomo non siano affatto perfetti: infatti, un essere assolutamente perfetto e onnisciente come dio non può creare esseri imperfetti e difettosi, sarebbe un controsenso! Come potrebbero l’imperfezione e l’errore derivare dalla somma perfezione e saggezza?
Si tratta allora di vedere se la natura dell’universo e dell’uomo sia o no perfetta.
Ora, è evidente che ciò vediamo, sperimentiamo, constatiamo della natura umana dimostra l’esatto contrario di quanto vorrebbe l’argomento del disegno. E’ innegabile, infatti, che l’uomo sia imperfetto. Sono molti gli aspetti dell’uomo (soprattutto fisici) che meritano di essere rivisti. Ad es., chi potrebbe mai pensare che i denti dell’uomo siano frutto di una mente perfetta? I denti dell’uomo sono una zona molto critica e molto debole; se oggi io volessi progettare un uomo farei in modo di non fargli avere il mal di denti.
Chi potrebbe mai pensare che l’intero ciclo di sostentamento dell’uomo – dalla sua nutrizione allo scarico dei residui – possa essere considerato un sistema perfetto? Tutt’altro, è un sistema assolutamente imperfetto che spesso va in tilt e provoca occlusioni e problemi, al punto che chiunque oggi si ponesse il problema di creare l’uomo credo che lo progetterebbe senza più questo ciclo di alimentazione/assimilazione/scarico, etc. Nessuno – io credo – può convincersi che il sistema di scarico (le flatulenze, le feci, etc.) sia il frutto di una mente perfetta.
Come vedete, le imperfezioni dell’uomo sono enormi, al punto che oggi l’uomo stesso è chiamato a rimediare ad alcune deficienze d’origine: gli esseri umani si sottopongono ad operazioni di plastica per correggere alcune imperfezioni oppure si sottopongono ad operazioni chirurgiche per rimediare alcuni problemi fisici che rendono la loro vita difficile. Credo che questo ormai sia un fatto assodato.
Esattamente come è assodato che anche l’intero universo – così come lo conosciamo – non sia affatto perfetto. Il moto dei pianeti – tanto per fare un esempio – nonostante la sua apparenza di ordine, perfezione e regolarità, non è affatto perfetto: spesso infatti i corpi celesti deviano dalla loro orbita, vanno a scontrarsi uno con l’altro, sono oggetto di cadute di asteroidi e meteoriti e di altre occorrenze non proprio positive che difficilmente possono essere considerate il frutto di una progettazione perfetta. I maremoti, i terremoti, gli tsunami, gli uragani (tanto per fare altri esempi) non sono certo indici di perfezione. Le grandi collisioni astrali – di pianeti o di soli – l’esplosione di stelle e la distruzione dei corpi celesti vicini, la presenza di buchi neri che “mangiano” letteralmente tutto ciò che si trova in prossimità del loro raggio d’azione, la lenta ma inesorabile degenerazione dell’energia descritta dal secondo principio della termodinamica, in una parola tutto ciò che l’astronomia moderna registra, ci dimostra che l’universo non può essere opera di una mente perfetta.
L’imperfezione dell’universo e dell’uomo (fattuale e innegabile, come abbiamo appena visto) non solo confuta in toto l’argomento del disegno, ma porta necessariamente ad escludere l’esistenza di dio, inteso come essere perfetto, onnisciente e onnipotente. Che rapporti potrebbe mai avere un simile essere con un mondo così accidentato, difettoso e caotico? In che modo un essere perfetto e immutabile potrebbe relazionarsi con un universo in perenne movimento e mutamento? Come potrebbe un dio perfetto e onnisciente programmare negli esseri viventi delle mutazioni genetiche che – nella stragrande maggioranza dei casi – risultano loro nocive? Non è un controsenso che un essere perfetto debba ricorrere al metodo della prova e dell’errore nell’ordinaria amministrazione delle cose da lui stesso create?
L’universo quindi non è perfetto, l’uomo non è perfetto, per cui è assurdo pensare che sia l’universo che l’uomo possano essere figli di dio (ovvero di un’entità perfetta). E’ un ossimoro. Dio non può – per sua stessa definizione – creare o progettare cose imperfette.
La prova tradizionale dell’esistenza di dio, basata sull’osservazione della natura e dell’uomo, si ritorce dunque contro se stessa al punto da diventare una prova di inesistenza.
A questo punto però si pone un problema: se l’universo e l’uomo non sono stati creati da dio, come si sono originati?
Questo è un problema che nel corso dei millenni ha interessato le menti più acute dell’umanità e sostanzialmente si è arrivati a due conclusioni.
La prima conclusione, quella materialista, in sintesi ci dice che l’intero universo è un fatto assolutamente casuale (“un pasto gratuito” come lo chiamano alcuni fisici delle particelle), è nato per puro caso, senza ragione e senza scopo, si muove e si evolve secondo leggi e costanti fisiche casuali (in quanto esse stesse frutto di una gigantesca lotteria cosmica) e in questo enorme scenario casuale l’uomo è semplicemente una rotellina che non ha alcun valore e la cui presenza non significa nulla, esattamente come nulla significa la probabile presenza di altri abitanti di altri pianeti (di altre galassie). In sostanza, quindi, dal big bang in poi tutto nasce ed evolve casualmente, secondo le sole leggi della natura e senza uno scopo predeterminato; non c’è nessuna mano creatrice, nessuna mente progettatrice, l’universo e la materia che lo costituisce sono frutto di accadimenti casuali (come ipotizzato da molti fisici quantistici).
Dall’altro, invece, c’è la concezione idealista dell’universo.
In sostanza, l’universo – così come ci appare – è un’illusione. L’universo è una proiezione della nostra mente: non esiste là fuori, siamo noi che lo proiettiamo fuori di noi, in modo del tutto soggettivo, per poi illuderci che abbia una esistenza “reale”.
E’ famosissima la metafora di Platone, per la quale l’uomo è come prigioniero in una buia caverna sulle cui pareti intravede le ombre degli oggetti che si trovano dietro di lui, scambiandole per realtà. Secondo il filosofo non esiste il mondo esterno così come lo vediamo, in quanto la realtà vera è l’idea, lo spirito, l’essenza del mondo; in altre parole, non esiste il cavallo ma l’IDEA di cavallo. L’idea è perfetta e immutabile, oggetto di vera conoscenza, mentre il cavallo empirico (il cavallo che noi vediamo) è la sua proiezione riflessa sulla parete della caverna (cfr. il MITO DELLA CAVERNA).
Un tempo questo due visioni sembravano inconciliabili: o si era materialisti e si credeva che il mondo fosse oggettivamente dato, a prescindere dalla esperienza e dalle sovrastrutture conoscitive umane, oppure si era idealisti e si riteneva che il mondo non esistesse al di fuori della mente umana, ma fosse semplicemente, né più né meno, una sua rappresentazione.
Attualmente, però, la fisica quantistica ha reso le differenze tra le due concezioni sempre più sfumate; il principio di indeterminazione di Heisenberg dice che non possiamo misurare con esattezza la velocità e la posizione delle particelle perché siamo noi stessi a condizionarle. In altre parole, l’atto conoscitivo condiziona (e quindi modifica) ciò che viene conosciuto; la conoscenza non avviene asetticamente e passivamente, ma interviene essa stessa direttamente sulle cose, modificandole.
Si può dunque concludere, alle luce di queste acquisizioni, che il mondo probabilmente esisterebbe anche senza di noi, ma di certo non sarebbe lo stesso identico mondo che noi, in qualche modo, “costruiamo” tramite il nostro processo conoscitivo. Ecco dunque che idealismo e materialismo finiscono per convergere.