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Crogetti di Olga (amarcord per una raccolta di carnevale)

Creato il 04 febbraio 2015 da Povna @povna

C’è questa iniziativa, promossa da una casa editrice che, di cucina, se ne intende. La ‘povna lo ha letto, e subito il pensiero le è andato ai crogetti, i dolci, fritti e buonissimi, che Olga (una signora che lavorava occasionalmente ‘a servizio’, a casa di nonna ‘povna) preparava per carnevale, nella casa del paese-che-è-casa.
La ‘povna di suo, ne andava matta. E pure sua cugina Thelma. Perché trovava che la pasta, così, lievitata, e dunque più ‘panosa’ concedesse a questo tipo di frittelle una consistenza, e un gusto, inarrivabili: per questo li preferiva a quelli che trovava al nord (delle banali “chiacchiere”, che trovava secche, troppo dolci, meno aromatiche) e anche ai pur amati cenci fiorentini. Inoltre, i crogetti di Olga non erano ricoperti di zucchero a velo (ancora una volta, per il gusto della ‘povna, troppo, e troppo dolce), ma di zucchero semolato semplice, quanto basta, che andava a conferire una ulteriore nota rustica a una pasta che di per sé era aromatica, ma non eccessiva.
La prima volta che ha provato a rifarli (nella mitologia di famiglia i crogetti li faceva solo Olga, e tanto basta), la ‘povna ha incontrato, lo deve confessare, alcune difficoltà di sostanza; legate al fatto che Olga, come tutte le massaie vere del paese-che-è-casa, nella sua infanzia, faceva tutto a occhio (per di più, con una dose abbondantissima).
Si è trattato dunque di ricostruire, esperimento dopo esperimento, una possibile ricetta, finché non è arrivata a stabilire questa, che è molto buona, e, soprattutto, corrisponde in maniera sostanziosa al suo pellegrinaggio di memoria.
La precisazione è comunque che, nonostante le indicazioni in cucchiaiate e grammi, con i crogetti è sempre bene andare a occhio, quando si tratta di consistenza della pasta; e che le dosi sono per un numero ampio di frittelle, perché, quando si frigge, vale la pena di fare le cose senza braccino corto, proprio a modo.
Col pensiero che va alla loro cucina, grande, piena di profumi, accogliente (se non faceva troppo freddo), la ‘povna prende dunque:

6 uova (Olga ne stempiava una confezione esatta, per la dose di base, la ‘povna se lo ricorda)
600 grammi di farina (Olga usava un sacchetto piccolo, dunque da 500, più ancora un po’ da un altro; la ‘povna, in omaggio alla tradizione, la usa bianca, ma almeno biologica)
4 cucchiai belli pieni da minestra di zucchero semolato (Olga usava quello bianco, e la madeleine vorrebbe quello; la consapevolezza odierna lo imporrebbe per lo meno fair trade, equo e solidale; in questo modo vengono dolci, ma non troppo – e poi nel caso si assaggia – la ‘povna era deputata a questo)
gli stessi 4 cucchiai belli pieni da minestra di olio di oliva extravergine (c’è bisogno di dirlo? ovviamente toscano)
1 bustina di lievito (o anche 3/4: una volta la ‘povna ha usato una bustina semi-piena, ed è bastato lo stesso; di meno no, però, con queste dosi)
3/4 di bicchierino di vin santo (della zona di Siena,c’è bisogno di dirlo?)
un pizzico di sale
la buccia grattugiata di un limone non trattato

Olga aveva di suo la spianatoia di legno, grande e bellissima, poggiata sul ripiano di marmo del loro grande tavolo. Lì metteva la farina a fontana, le uova (chiare e tuorli), il sale, il limone, lo zucchero; iniziava a mescolare con la forchetta, in modo spiccio. Quando il composto iniziava ad agglomerarsi (abbastanza presto), aggiungeva lievito e vin santo e continuava a mano, fino a fare la palla. Poi la faceva riposare una mezz’ora (anche se, trattandosi di composto lievitato a chimica, non sarebbe invero necessario). A questo punto, sulla stessa spianatoia (grattata ad hoc) stendeva la pasta col fido, di legno e lungo mattarello. Poi ci dava di rotella zigrinata, a fare delle strisce (e qui la ‘povna e Thelma potevano collaborare a piacimento). Così, mentre le due cugine continuavano a far manovalanza, Olga si spostava alla padella (antiaderente), riempita di olio (sempre toscano ed EVO) che portava a temperatura bollentissima.
Ci metteva un congruo numero di strisce, che friggeva da entrambi i lati, girandole e sorvegliandole a dovere, con fermezza, fino a che fossero gonfie, e anche dorate. Quando le scolava (su carta da pane vecchia – la ‘povna ha sostituito con lo scottex), era di nuovo compito delle cugine, con l’acquolina pronta in bocca, cospargerle di zucchero semolato.

Con questa ricetta, la ‘povna partecipa dunque, come detto, alla raccolta. Invitando anche chi volesse a unirsi alle Ricette dell’Italia in maschera, l’iniziativa di Guido Tommasi per le tradizioni di carnevale.


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