Tutti lo sanno, ma nessuno fa alcunché per impedirlo…
E così la morte annunciata lo sorprende nel fulgore di una splendida mattinata tropicale. Ma non per agguato o per trappola: un destino bizzarro e crudele fa sì che la fine di Santiago si compia per un concorso di fatalità ed equivoci, mentre gli stessi assassini fanno di tutto perché qualcuno impedisca loro l’esecuzione.
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“… proverò almeno a cominciare dall’inizio”, scrive Agatha Christie nell’introduzione alla sua deliziosa autobiografia.
Proverò a farlo anch’io, con passo tranquillo e la consapevolezza che alcuni autori – e Gabriel José de la Concordia García Márquez, detto Gabo, è certamente fra questi – predispongono naturalmente alla meravigliae sfidano con caparbia, disarmante eleganza ogni tentativo di razionalizzazione.
Il titolo, dunque. Di grande bellezza e per giunta esatto poiché di questo, e di null’altro, si tratta: della cronaca, dettagliata e formalmente impeccabile, di un omicidio che più annunciato non si potrebbe. Un anonimo narratore, amico fraterno della vittima, intreccia i propri ricordi personali alle testimonianze dei (numerosi e indimenticabili) personaggi coinvolti per ricostruire, a quasi sei lustri dalla tragedia, le ultime ore di vita di quello che potremmo definire come un agnello sacrificale destinato a “pagare vent’anni di felicità non solo con la morte, ma anche con lo strazio del corpo, e con la sua dispersione e sterminio“. Va al macello con ignara spensieratezza e il vestito delle migliori occasioni, Santiago Nasar: pantaloni e camicia di lino bianco per ricevere la benedizione del vescovo in visita a Manaure. Sappiamo già che verrà assassinato; lo sanno tutti, a Manaure, e lo sa bene anche il lettore più distratto grazie a una prima pagina entrata ormai di diritto nel gotha degli incipit letterari:
Il giorno che l’avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5 e 30 del mattino per andare ad aspettare il battello con cui arrivava il vescovo. Aveva sognato di attraversare un bosco di higuerones sotto una pioggerella tenera, e per un istante fu felice dentro il sogno, ma al risveglio si sentì inzaccherato da capo a piedi di cacca d’uccelli. “Sognava sempre alberi” mi disse sua madre, Plácida Linero, rievocando ventisette anni dopo i particolari di quel lunedì ingrato.
Si gioca a carte scoperte, insomma. Ma, come in tutti i thriller davvero riusciti, il desiderio di conoscere il “dove”, il “come” e il “perché” di una morte che nessuno vuole ma che nessuno ha il cuore o la possibilità d’impedire, si acuisce e s’impenna man mano che si procede nella lettura anziché venirne in qualche misura frustrato. García Márquez coniuga mirabilmente resoconto giornalistico e detective fiction con gli elementi poetici e misteriosi, perfino sovrannaturali (sogni premonitori, presagi, et cetera) che caratterizzano tutta la sua opera: il risultato è un avvincente romanzo corale e al tempo stesso una potente, irriverente, a tratti spassosa allegoria della vita e della sua completa, invincibile assurdità.
Capolavoro che non aveva bisogno di ulteriori presentazioni ma nel dubbio, come si dice?, è preferibile abbondare.
Simona Tassara
(recensione originariamente pubblicata dalla Rivista Fralerighe)
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