Crowdfunding e giornalismo: alcune cose da imparare dalle storie di successo

Creato il 03 giugno 2011 da Leliosimi @leliosimi


Visitando la pagina dei progetti “fully funded” di Emphasis.is  si nota con piacere che ben cinque proposte hanno già trovato il pieno sostegno da parte dei lettori per un finanziamento complessivo di quasi 70mila dollari realizzati grazie a oltre 700 donatori. Altri quattro progetti, invece, sono rimasti al palo. A poco più di due mesi dal suo lancio ufficiale la piattaforma di fotoreportage finanziato dal basso sembra aver comunque iniziato con il passo giusto.

La cartina di tornasole per le piattaforme di crowdfunding è, ovviamente, la capacità di portare i progetti presentatati al completamento del finanziamento richiesto nei tempi fissati (solitamente 45/60/90  giorni): pur tenendo presente che comunque non tutte le proposte possono fare centro, una buona parte deve essere capace di coinvolgere sostenitori e raggiungere gli obiettivi fissati. Già ma quanti progetti hanno realmente la possibilità di andare in porto? Se si guarda la ricerca condotta tra dicembre 2010 e febbraio 2011  da paidContent sui maggiori siti di crowdfunding “generalisti” (cioè non focalizzati su una particolare categoria), è interessante notare come anche esperienze di successo, come  Kickstarter  o IndieGoGo a fronte di rispettivamente 12mila e 15mila progetti presentati ne sono riuscite a finanziarne circa 5mila ciascuno. Ancora più di recente il blog di Kickstarter  ha pubblicato un interessante rendiconto dei primi due anni di attività che conferma la tendenza rilevata dalla precedente indagine. Siamo, in generale, nell’ordine di 40/45 percento di possibilità di successo, o se preferite, 60/65 percento di insuccesso. Teniamo inoltre conto che, al di là di tutto l’entusiasmo che possiamo nutrire per queste nuove forme di finanziamento, il giornalismo in questi siti ha attratto l’attenzione in modo tutto sommato marginale: su Kickstarter ad esempio il progetto di maggior successo rimane a tutt’oggi quello  del giornalista freelance Ted Rall che ha raccolto 26mila dollari grazie a 211 sostenitori, ormai più di un anno fa.

La comunità sul web non sempre è facile da coinvolgere (economicamente e non) e ancora più difficile è farlo con continuità e  in un settore specifico come il reportage d’inchiesta. Non è forse un caso che Spot.us, il pioniere e la  case history del finanziamento dal basso coniugato con il giornalismo investigativo, abbia nei mesi scorsi sperimentato forme “sostenibili” di pubblicità/sponsorizzazione per alimentare le casse senza venir meno alla missione del progetto: promuovere un giornalismo indipendente e partecipato. I “numeri” della startup finanziata dalla Fondazione Knight sono interessanti, nei primi sei mesi di vita ha raccolto 45mila dollari (nella sola area di San Francisco), è giunta poi al traguardo dei due anni finanziando 160 storie grazie al contributo di 5mila persone, si è estesa con sedi in altre città. Ma evidentemente è necessario pensare a modelli di impresa più evoluti se si vuole andare ancora avanti e trovare stabilità. In modo particolare se si è scelto di utilizzare il crowdfunding concentrandoci in un’unico segmento di mercato. Il crowdfunding ha bisogno di una vasta audience, se si mira ad aumentare in maniera significative i fondi – fa notare giustamente in un suo recente post il giornalista Bobbie Johnson sul blog GigaOm – il traguardo del pieno successo per i siti di finanziamento partecipato che si limitano a un unico settore come Spot.us, potrebbe essere più difficile da raggiungere rispetto a quelli che hanno un approccio di più ampio respiro come Kickstarter.

Un parametro fondamentale è l’ambizione delle proposte. Insomma quanto si mira in alto negli obiettivi da raggiungere, sia a livello di contenuti (la rilevanza delle storie che si raccontano, il loro impatto nell’opinione pubblica) che a livello di finanziamento (l’entità delle somme richieste). Il crowdfunding molto spesso vive di grandi orizzonti e ambizioni. Questo d’altronde, non sono certo il primo a farlo notare, ci dicono la stragrande maggioranza delle storie di successo del finanziamento dal basso. Dalla arcinota campagna elettorale di Obama, al milione di euro raccolto in un solo mese dal Louvre, dai sedici milioni di dollari raccolti in 50 giorni a inizio 2011 da Jim Wales per permettere a Wikipedia di sopravvivere, fino agli oltre 200mila dollari (il progetto ne chiedeva solo 10mila) raccolti per Diaspora il social network che promette di essere la nemesi di Facebook: ogni donatore, anche quello che ha versato pochi spiccioli, si è sentito solidale con i principi e i valori comunicati dai progetti e partecipe del raggiungimento di un grande traguardo.

Essere partecipe a pieno titolo di un progetto, non solo perché si sono messi dei soldi, ma perché si è “dentro” un processo creativo, è un aspetto importante da tenere ben presente per chi realizza progetti di giornalismo finanziato dal basso. Questo i responsabili di Emphas.is sembrano averlo capito fin da subito e averci puntato con decisione. Molto più di altri. Ha valore il singolo progetto ma anche la piattaforma, il progetto complessivo che comunica (e come lo comunica), non limitandosi a essere un semplice contenitore.

In questo senso bisogna notare che in Italia il caso di maggior successo – nonostante i diversi progetti in stile Spot.us nati con le migliori intenzioni – è probabilmente rappresentato dagli oltre 8mila euro raccolti, in poche settimane, da Claudio Messora: il suo appello per mettere insieme 10mila euro per far sopravvivere il suo videoblog Byoblu, è stato recepito dai molti lettori che da anni ne apprezzano i reportage dal forte impegno sociale e ne seguono gli sviluppi attraverso gli aggiornamenti quasi quotidiani.

Fonti e approfondimenti

Is Crowdfunding Working? Here’s What We Know (paidContent)

Funding Lessons from a Successful Kickstarter Campaign (Read Write Web)

Why Spot.us user says it ‘is one of the best advertising experiences I’ve ever had’ (Poynter)


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