Non siamo in territori diversissimi dagli ultimi Grand Magus: chitarre lugubri e rallentate che erompono in cavalcate da epic metal anni ’80 e fugaci lampi NWOBHM. Rispetto ai summenzionati svedesi ci sono però un abbandono ancora più radicale della componente blues del canone sabbathiano e un’atmosfera biblica e solenne piuttosto che guerresca e caciarona. La negatività senza speranza di quei Solitude Aeturnus che costituiscono probabilmente l’influenza più diretta viene invece temperata da un approccio più arioso e fruibile che, grazie anche a una facilità di scrittura impressionante per dei debuttanti, rende i Crypt Sermon potenzialmente appetibili anche a una platea molto più vasta del circolo di adepti del culto del riff con il santino di Tony Iommi nel portafogli. Speriamo che non si normalizzino al secondo disco, come succede alla maggior parte dei giovani gruppi doom appena raggiungono un minimo di esposizione. Anche perché gli episodi migliori sono quelli dove gli americani mettono da parte l’ortodossia e si concedono sorprendenti contaminazioni come la splendida Into the holy of holies dove un ritornello da gothic metal di fine anni ’90 lascia spazio a un inno di battaglia alla Warlord che vi farà imbracciare l’ascia bipenne e uscire in strada a caccia di nemici del vero metal. La Dark Descent si conferma l’etichetta underground statunitense con il fiuto migliore. Se son crisantemi fioriranno. (Ciccio Russo)