Pseudo-pamphlet sulla tolleranza, tra assurdo e geniale, "Priscilla" è un gancio sinistro contro i pregiudizi e un gancio destro al dramma "personale" di tanto cinema lgbt. Ipercromatico e iperdinamico, descrive caratteri a tutto tondo e li imprime nella memoria cinematografica, tra volgare clichè e sublime poesia. Cultissimo.
Nella giornata mondiale contro l'omofobia, credo che la miglior risposta sia presentare un film come "Priscilla, la regina del deserto", che, confrontato a tanto cinema a tematica omosessuale, è un tripudio vitale di gioia e speranza, non mascherando o edulcorando il problema dell'accettazione e dell'avversione, ma settorializzandolo e ponendo in primo piano una rappresentazione multifocale, che passa in rassegna tappe diverse del mondo lgbt, tra clichè en travesti (e i momenti musical sono di una perfetta cura formale) e temi come l'omogenitorialità, un accenno all'Aids, l'elaborazione del lutto, la bisessualità così come il transessualismo, con uno sguardo ampio e fortemente "caricato", in modo da far esaltare la componente spettacolare insita nello stile colorato e "visivo" di Stephan Elliot, votato ad un percorso disomogeneo e difficilmente inquadrabile con una terminologia chiara e piatta. Ma c'è anche altro. Per esempio, una combinazione di "on the road" e musical di tradizione europea confinati, con grande acume, in uno splendido paesaggio-distonico, il "deserto" australiano, saturo come non mai e altrettanto espressivo. L'ironia, l'antifrasi, la vitalità che si respira a bordo del "Barbie" camper, l'ottima e razionalizzata scrittura/struttura dell'opera, la capacità di dar vita a caratteri per nulla evanescenti ma fortementi grintosi e moderni riescono ad integrare perfettamente lo spettatore, riuscendo (pochi i casi) ad introdurre con una leggiadria atipica momenti di dubbio gusto e simil-paradosso che sono perfettamenti amalgamati con l'atmosfera filmica Il "realismo fantastico" di Elliot diventa un'esaltazione della gioia e conquista un pubblico vastissimo. Ai personaggi danno corpo tre attori notevoli, senza taboo, e in grado di creare (è il caso di un magnifico e sottovalutato Terence Stamp nei panni della elegante Bernadette), un mondo interiore insieme banale (in alcuni flasbacks) ma anche demitizzante (in relazione a molti falsi pregiudizi che riguardano l'omosessualità smascherati con irriverenza) e soprattutto colorato dal gusto della vita. Irrisconoscibile un giovane Guy Pearce, mentre il drama-character è affidato ad un altrettanto intenso (e sottovalutato) Hugo Weaning. Un'opera dalla freschezza intramontabile, quasi "storica", diventata un cult di più generazioni.