Si propone come "aggregatore nazionale di contenuti": ma lo sanno cos'è un aggregatore? I contenuti in inglese non ci sono (si sono dimenticati di tradurre i testi delle schede), e non è possibile condividere nessuna pagina sui social network. Hanno lasciato perdere completamente il cosiddetto friendly url, ossia il rendere le stringhe facilmente comprensibili - e raggiungibili dai motori di ricerca - senza che contengano lettere e numeri indecifrabili: chi scrive studia archeologia e lo sa, chi ha prodotto il sito è stato pagato oltre 1 milione di euro in assistenza tecnica e non ci ha pensato.
Nella puntata di Presa Diretta andata in onda ieri sera Rossella Caffo, responsabile del progetto e direttrice dell'Istituto Centrale per il Catalogo Unico, perde il controllo davanti alla giornalista della Rai (potete vedere la scena nel video), rifiutando di ammettere che il Ministero abbia sperperato milioni di euro in un portale inutile ma soprattutto non funzionante. Non vi preoccupate: lo diciamo noi. E non solo. Riprendiamo le parole di oggi del blog DAW, che giustamente scrive "Un abominio, un sito inutile che ricorda un catalogo da biblioteca messo in disordine, senza capo né coda. Uno spreco di soldi che in sette anni non è riuscito a produrre qualcosa di digeribile e consultabile. Un’occasione persa, uno spreco evidente. Ennesima pessima figura, del tutto evitabile."
Il sito non rispetta la verifica dei contenuti (controllabile da chiunque in questa pagina) nonostante a fondo testo inseriscano il certificato del contrario, e ci sono collegamenti ciechi che non portano da nessuna parte. Ciliegina sulla torta, l'account su Twitter di questo sito non è, come sarebbe facile pensare, "culturaitalia" ma "culturaitalia1" (tutto vero) perché il primo era già stato preso da un'associazione svizzera: nonostante al progetto ci lavorino dal 2005, e Twitter l'abbiano inventato l'anno seguente. Ma l'effetto Italia1 rende perfettamente l'idea.