(Recensione di Luca Maciachini) - “Mamma a Carico” è un libro di Gianna Coletti, edito da Einaudi e pubblicato lo scorso 6 ottobre.
Che il concetto di “famiglia” cambi con i tempi non è certo una novità. Ora si parla di “Famiglia adolescente”, di “ruoli” non più chiari nel rapporto tra i figli e i genitori, di padri e madri che difendono i proprio figli anche quando (ad esempio a scuola) si rendono responsabili di azioni e frasi quanto meno discutibili. Ma non è una novità neppure che per “corso naturale”, per così dire, i ruoli fondamentali di accudimento tra genitori e figli possano invertirsi. Detto semplicemente, da bambini veniamo seguiti, protetti, all’occorrenza anche redarguiti da “loro”, mentre in vecchiaia è probabile che poi tocchi a noi fare altrettanto nei loro confronti. Così succede a Gianna Coletti, brillante attrice italiana, che nella sua opera prima “Mamma a carico”, descrive il percorso finale della vita della mamma Anna che viene affettuosamente chiamata “la mia vecchia”.
Il sottotitolo “Mia figlia ha 90 anni” è in questo senso emblematico: ora è Gianna che deve far da madre a sua madre. Una madre, si direbbe, atipica: in vita sua ha fatto di tutto in maniera quasi ossessiva per fare in modo che la figlia potesse realizzare il sogno professionale che LEI (Anna) non è riuscita a concretizzare in vita sua. Quale sarebbe questo “sogno professionale”? Ora si penserà fare il medico? L’Avvocato? No, l’attrice! Proprio uno di quei mestieri che i genitori spesso cercano di “scongiurare” perché “di arte non si campa”! E invece Anna fa di tutto nella vita per donare alla figlia quella completezza artistica che Gianna poi si ritroverà come dono spirituale, unita a una grande verve ironica che costituirà il suo “marchio di fabbrica” e che l’aiuterà anche in questo difficilissimo quanto arricchente percorso .
Anna è nella sua fase terminale, priva della vista ormai da almeno una quindicina di anni, è ormai in balia degli eventi. Solo Gianna costituisce il suo punto di appoggio e di riferimento, il suo aiuto concreto e morale. Anna ha un carattere testardo e volitivo, di fatto non si rassegna alla sua condizione e quello che potrebbe di fatto sfociare in un immobilismo fatto solo di “attesa della fine” (o, peggio, per dirla con Giorgio Gaber, “quello stupido riposo in cui si aspetta la morte”), si trasforma in una commedia tragica e grottesca al tempo stesso. Gianna si adopera perché la madre viva questo ultimo tratto nel migliore dei modi e utilizza tutti i mezzi possibili, fra conforts tecnologici, badanti, sostegno psicologico fatto anche della sua arte, giochi di memoria, gesti fisici e qualche piccola litigata di “scuotimento”. La cifra baldanzosa e giullaresca di Gianna, con uno spirito di fondo in bilico fra Bergson e Achille Campanile, stempera e alleggerisce quella pesantezza di fondo che è intrinseca in fasi come questa. (Vedi affermazioni come “La testa (della mamma) non è più quella di prima , ma anche quella di prima non era granché”). E ci sono anche continui giochi di rimando tra il pesante presente e il passato dinamico a sottolineare questa situazione di… (per continuare a leggere la recensione cliccare qui —> “lucamaciacchini.com“).