Taranto, anni ’70. Camillo Marlo, alias Krol (tutti i compari hanno un nomignolo che calza loro a pennello), racconta in prima persona una fase dell’esistenza che si vive una volta sola. È il periodo dei sogni e delle aspettative, dell’amicizia spassionata, dell’inconsapevolezza, di quelle certezze assolute che poi, tempo qualche anno, si spezzano, funi consumate dal logorio della realtà.
Krol e i compari hanno un’unica “ossessione”: il calcio. Quando, a scuola, la ‘ssoressa Nanettabbella chiede della Beatrice dantesca, lui sa rispondere solo «Bruno Beatrice, mediano di spinta del Cesena, serie B» e via dicendo, beccandosi punizioni e botte paterne. E anche quando si ha a che fare con le femmine, a Krol spetta l’onore di assegnare loro il soprannome, pescandolo fra le squadre di calcio straniere. Così c’è Twente, Fortuna Dortmund, Stella Rossa di Belgrado. E ci sono anche le prime timide palpitazioni del cuore, spesso lasciate passare – per evitare figuracce – per virili (e iniziali) esperienze sessuali.
Poi c’è un sogno che potrebbe diventare realtà. La Juventus. Krol. Krol alla Juventus: «seeee», risponderebbe lui, per allontanare la sgubbia.
C’è una purezza, in questa storia, che è quasi impercettibile; è un quid di difficile definizione, un insieme di gergo adolescenziale – e molto dialettale –, microcosmo con semplici regole stabilite, via di mezzo fra fanciullezza ed età adulta, espressione dell’impulsività propria di chi si sente padrone del mondo – il piccolo mondo intorno a casa, quello del quartiere, ché l’assassinio di Moro («ma chi, Adelio Moro, centrocampista dell’Ascoli?»), le BR, la malavita sono cose insensate e lontane anni luce.
Magistrale la costruzione della vicenda (apparentemente semplice, ma sapientemente studiata), e il modo in cui l’autore “gioca” col linguaggio, shakerando italiano e tarantino e servendoci una lingua dalla vitalità esplosiva.
Cosimo Argentina fabbrica la macchina del tempo e ci riporta ai nostri 14-15 anni: e non deve sembrare paradossale il fatto che ad affermarlo sia io, una ventenne – adolescente degli anni 2000 –, lontana forse più di tutti dall’adolescenza maschile degli anni Ottanta, che sapeva del cuoio del pallone e dell’erba verde del campo di calcio. Ma è la dimostrazione che il linguaggio dei giovanissimi è uno, uguale a se stesso, sempre e dappertutto.
Angela Liuzzi
Cosimo Argentina, Cuore di cuoio, Fandango Tascabili, 221 pp., 10 euro