In tutti i tempi i Greci hanno avuto la mania di tradurre i nomi
Applicando dunque questo tipo di indagine, gli studiosi odierni potrebbero facilmente comprendere i seguenti passaggi linguistici:
Οδυσσευς (Odusseus) = Udhës ‘she-u = colui che non ha trovato la sua via.
Πηνελοπη (Pēnelopē) = Pen e lypi = colei che domandò (mendicò) il cotone (per cucire).
Αχιλλευς (Achilleus) = Akileti = cosi leggero (Achille piè veloce).
Αγαμεμνων (Agamemnōn) = Aqë me mënt-i = così saggio, cervellone.
Μενελαος (Menelaos) = Mënt’ e lau = che è uscito fuori di sé.
Ελενη (Elenē) = E lëna, = colei che è impazzita (pazza).
Κερκυρα (Kerkura) = Kërcuri = tronco che nuota.
Βρινδσι-ον (Brindsi–on) = Brin dashi = corno di ariete.
Ηλος = (Hlos) = Helli = schidione.
Μελιττα (Melitta) = mjalat = Malta = miele (la chiamarono “miele” per via della clima mite dell’isola).
Εχιδνα (Echidna) = e hidhna = vipera, amaro.
Vogliamo inoltre segnalare qui il famoso Βη Βη, trascrizione del belare della pecora, che troviamo nel Cratilo di Platone, e che ha sbalordito generazioni di studiosi, perché questa trascrizione non corrisponde al belare dell’animale. Una cosa del genere si spiega se ci basiamo sulla pronuncia greca che si fa nella odierna Grecia, e anche perché non si conosce l’esatto valore fonetico che si dava al Βη Βη nell’epoca di Platone. Per spiegare questo equivoco è necessario anche qui l’aiuto della lingua pelasgo – albanese. Si deve dire che la lingua pelasgica aveva nella sua fonetica un suono o una emissione particolare della voce che usciva della bocca provenendo direttamente dalle corde vocali senza essere influenzato da nessuno degli organi della bocca e del naso che partecipano alla pronuncia di tutte le parole in una lingua.
Questo suono, nella lingua albanese odierna, si rappresenta con la lettera ë, che ha lo stesso valore fonetico che le davano i Pelasgi. Questo suono, quando è stato introdotto e trascritto dai Greci, non è stato rappresentato in modo corretto; questo anche perché gli Eoli e gli Ioni lo scrivevano con la lettera η, i Dori con la lettera α e i Latini con e. Quello che è più importante è che questo suono, anche se rappresentato con tre lettere diverse, in antichità serviva a rappresentare il suono ë, che è un suono pelasgico. Cosi, quando Platone scriveva Βη Βη, nella sua epoca la pronunzia corrispondeva a bë-ë, bë-ë, che è la trascrizione perfetta del belare della pecora. Cosi possiamo dire che il Βη Βη scritto da Platone è uguale al bë-ë, bë-ë della lingua pelasgo-albanese; soltanto in epoca recente, quando il valore fonetico di alcune lettere greche è cambiato, prese la pronuncia vi che di fatto non assomiglia al belare della pecora.
Liberamente tratto dal libro Enigma dell’autore Robert d’Angely