Il termine sympòsion deriva da syn + pìnein, bere insieme. "I greci non bevevano da soli, perchè il consumo del vino era vissuto come atto collettivo. Il simposio si organizza insieme ed ha le sue proprie regole, che mirano a stabilire una precisa divisione del piacere". Il simposio è dunque una forma di socialità che caratterizza tutta la durata del mondo antico. Anzi il simposio non si limita a questa vita; la nostalgia dei vivi immagina la felicità dei morti in tale forma: all’iniziato viene promesso che da beato celebrerà banchetti avendo sul capo una perenne corona di fiori.Omero non conosce ancora il simposio, in quanto non vi è ancora quella netta separazione temporale tra il mangiare e il bere che lo caratterizza in epoca storica; gli ospiti non sono distesi sul triclinio, ma seduti sulle sedie; la presenza delle donne non è esclusa. Al banchetto di Alcinoo, re dei Feaci, è infatti presente la regina Areta. In Omero, inoltre, non è il singolo ospite o il gruppo dei convitati ad intonare i canti simposiali, ma il cantore addetto a questo scopo: Demodoco, presso i Feaci, Femio presso gli Itacesi. Odìsseo racconta, non canta le sue esperienze. Achille e Patroclo intonano canti epici per reciproco diletto non davanti ad ospiti. Nonostante queste differenze, anche per Omero il convito rappresenta il momento più alto dell’esistenza e alcuni versi dell’Odissea (IX, 511ss.) esaltano il valore che il banchetto ha per la società dell’epoca eroica.Diversa la situazione nei secoli storici. Il fatto più appariscente è quello di stare sdraiati accanto alla tavola:. In Grecia - a differenza che a Roma - di solito si è in due a giacere su una kline, un divano, il braccio sinistro appoggiato al cuscino che sta sotto la nuca, il destro libero, secondo un uso penetrato dall’Asia Minore.Nella sala del banchetto ciascuno è disposto in modo tale da essere a portata di voce e di sguardo con tutti i compagni. Conosciamo queste sale grazie agli scavi archeologici : nel santuario di Artemide a Brauron ci sono nove sale di dimensioni identiche aperte lungo il portico che accolgono undici klinai ciascuna. Il simmetrico spazio architettonico ha questa coppa del vasaio Ierone, che presenta una scena di simposiasti con etere. In questa scena sono presenti tutti gli ingredienti del simposio: il vino, con il cratere e le coppe in mano ai convitati; la musica e la danza, con la flautista ed i crotali, appesi sullo sfondo; l’erotismo, con le molteplici presenze femminili. I protagonisti principali sono però gli uomini, disposti in cerchio in condizione di assoluta eguaglianza. La donna di condizione borghese manca nel simposio greco fino al periodo ellenistico. In questo senso il simposio arcaico è uno spazio chiuso ed essenzialmente maschile, circoscritto ad un numero limitato di convitati: il numero deve essere compreso tra quello delle Muse e quello delle Grazie, cioè da nove a tre. Nel Simposio di Platone sono nominati sette convitati; solo nel IV secolo il banchetto si fa più sontuoso e borghese.Le occasioni di un simposio sono molteplici, quasi sempre fa seguito ad un pranzo e può essere una festa familiare, soprattutto un matrimonio, oppure una festa religiosa o un pranzo sacrificale. Ad esempio il Simposio di Platone è tenuto per celebrare la vittoria di Agatone negli agoni tragici; il Simposio di Senofonte la vittoria di un giovane nel pancrazio. Spesso ognuno porta la sua quota, si uniscono le spese: si ha allora il banchetto aposymbolòn, con il contributo dei partecipanti; affine è il banchetto comunitario èranos. Ma spesso ci si riunisce semplicemente per il piacere della festa. Gli inviti si facevano di solito il giorno prima o lo stesso della festa, per non impegnare le persone con settimane di anticipo. Andava insomma chi voleva e spesso un ospite stimato non si faceva scrupolo di portare con sé un amico incontrato per caso in strada. Il simposio deve iniziare con la prima oscurità. Nel banchetto con invitati i posti erano assegnati dal padrone di casa e poiché si sta sdraiati da sinistra a destra, ne deriva anche l’ordine d’importanza. Del servizio si occupavano i giovani incaricati di miscelare il vino con l’acqua, e di attingerlo dal cratere con la brocca o con il mestolo. La loro grazia giovanile è un ornamento essenziale della festa. Il filosofo e poeta della Ionia Senofane di Colofone così esorta gli ospiti riuniti. Svolgimento del simposioDopo il pasto vengono portate via le mense con gli avanzi e pulito il pavimento. Poi ognuno prende da una coppa, passata in cerchio, un sorso di vino non annacquato per un brindisi in onore del buon genio, accompagnato dalle parole agathoù daìmonos. Chi non vuol bere abbandona la sala. Viene portata poi acqua per lavarsi le mani, profumi e corone per ungersi ed ornarsi la testa. Le corone sono di fiori e mirto, oppure di edera, pinta sacra a Dioniso. I poeti di Lesbo menzionano anche le upothùmides, corone intrecciate da portarsi intorno al "tenero collo". Spesso il capo è ornato anche di una tenia, una fascia colorata di lana rossa. Anche le coppe sono inghirlandate di edera.Viene poi distribuito il vino miscelato con acqua nei crateri e da ognuno dei tre primi crateri si fa di nuovo un’offerta: si versa fuori della coppa del vino. L’offerta del primo cratere è per gli dèi celesti e Zeus Olimpio, la seconda per gli ‘spiriti’ degli eroi, la terza per Zeus Salvatore. In occasione di queste offerte tutti cantano il peana accompagnati dall’aulos, un inno antichissimo dal ritmo sostenuto, da cui deriva il nome di ‘metro spondaico’, da spondè, ‘libagione’. Il significato sacraleLa libagione votiva ed il canto del peana dicono che il simposio è anche e soprattutto un evento sacrale. L’offerta è in origine un rito che deve rompere il tabù insito nel vino: bere significa penetrare nel demoniaco e l’offerta reca in sé un elemento magico. Sacrale è l’abluzione delle mani che deve determinare la purezza rituale e la corona ha una funzione iniziatica, una pratica per essere accolti in una nuova comunità, non certo quella di proteggere dal mal di testa, come hanno ritenuto alcuni studiosi. Anche l’iniziato ai misteri porta infatti una corona. La sacralità del simposio è testimoniata dal fatto che anche lo stesso vino non è semplicemente un dono degli dèi, ma è divinità esso stesso, e nel linguaggio simposiale il vino è chiamato Bacco, Bromio, Dioniso. Il carattere rituale attesta inoltre che i convitati non sono una "società" nel nostro senso, ma un thìasos, una comunità in cui non può mancare il legame sacrale con il divino. Chi è omòspondos, cioè chi ha versato insieme la libagione, si trova in un rapporto di comunione da cui i malvagi sono esclusi: Chi non odia costui come la peste,Mai beva dalla coppa con noi alla festa. (Aristofane, Cavalieri, 1288s.)
Il simposiarca e le usanze simposiali
Carattere sacrale ha anche l’uso di bere sotto una guida: si elegge o si sorteggia un re del simposio, un simposiarca che regola le modalità del bere della comunità: è una sorta di re in un contesto pacifico. Ma facciamo iniziare il simposio: il primo sorso è un "brindisi". Si fa poi girare la coppa verso destra, la parte indicante la fortuna, si beve e si passa la coppa con le parole:Prendi anche tu la bevanda di Igea,e il bevante beve ughìeia, alla salute degli altri. Poi segue un brindisi speciale: kaìre, kaìre kaì pìe eù, salute salute e bevi bene, facendo il nome del prescelto. L’intento è quello di accrescere con l’incitamento la forza del destinatario dell’omaggio. Un po’ diverso il brindisi all’amore: philotesìan propìnein, bevi la coppa dell’amore; poi si vuota la coppa e la si passa, di nuovo colma, alla persona cui si rivolge l’omaggio, che a sua volta la vuota. Il simposiarca stabilisce tutte le regole: quale debba essere la miscela da bere, la grandezza delle coppe, ecc. Bere vino puro è ritenuta usanza barbara, ed anzi l’acqua deve essere in misura prevalente: una porzione di tre a uno; una miscela debole. Parti eguali di acqua e vino sono già considerate ubriacanti ed è noto che misura e moderazione sono virtù elleniche. A seconda del tipo di vino o dei personali desideri, l’acqua viene riscaldata o raffreddata con la neve. Spesso il simposiarca costringe a bere grandi quantità di vino: è bere pros bìan, per costrizione, a comando, a contrario del bere pros edonèn per piacere. Alceo che reggeva bene il vino lo esige nell’occasione della morte del suo nemico Mirsilo: Ora bevete tutti, ubriacatevi,magari a forza, è morto Mirsilo!
Tuttavia anche Socrate per tenere testa ad Alcibiade racanna due litri tutti in una volta. Prova di grande bravura è il pìnein apneustì, amustì, bere senza riprendere fiato e chiudere le labbra. Nonostante l’ideale di moderazione spesso si cominciava con piccole coppe e si finiva con grandi bevute fino all’ubriachezza, al mal di stomaco, alle zuffe e, infine al kraipàle, al mal di testa. Lo stesso Dioniso, in una commedia di Eubulo, raccomanda in una commedia: