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Cutrò: “Contro la mafia? Abbiamo vinto noi. Ma lo Stato ci aiuti!”

Creato il 28 febbraio 2014 da Tipitosti @cinziaficco1

“Lo Stato italiano non merita la famiglia Cutrò. E’ per questo che sto pensando di andare a fare il cameriere all’estero. E’ vero, sono stato uno scassaminchia per anni. A Bivona (Agrigento) mi chiamano lo sbirro e il confidente della questura, ma sono fiero di questo. Mi vergognerei, se mi chiamassero mafioso. E’ la politica che non può essere indifferente, o peggio, usare due pesi e due misure con la gente come me! Noi siamo in guerra, da anni stiamo scavando le trincee, ma nessuno se ne accorge. Ho deciso di battere spalla a spalla quei quattro pezzi di merda che sono i mafiosi, ma lo faccio da solo. Non mi tutelano a sufficienza, né mi fanno campare. Ho dovuto ritirare i miei figli dagli studi. Non riesco a guardarli negli occhi. Che vergogna. Eppure siamo andati in culo alla mafia”

cover Abbiamo vinto noi
E’ un fiume in piena Ignazio Cutrò, l’imprenditore siciliano che ha detto di no alla mafia e vive sotto protezione.

E continua: “Sono stanco, ma non smetterò di battermi perché i miei figli abbiano la possibilità di studiare. Ora vivo con l’aiuto di qualche parente, dei miei otto angeli custodi – gli uomini della scorta – che ogni giorno rischiano la vita con noi. La nostra casa non è ben protetta e io da anni non riesco a lavorare. Ma la cosa che mi fa infuriare è che alcuni testimoni di giustizia hanno l’appoggio della politica. Per me è diverso e le cose sono peggiorate da quando ho creato l’Associazione nazionale dei testimoni di giustizia. Forse ho dato fastidio a qualcuno. Allora cosa devo pensare? Che la politica zittisce i singoli con favori, appunto, individuali e che l’associazione fa paura? Se dalla Regione e dal presidente Rosario Crocetta mi sono sentito in qualche modo protetto e considerato, dai livelli alti no. Che fine hanno fatto i miei diritti? Chiedo al Presidente della Repubblica di intervenire. Lui che è rappresentante di tutti gli italiani deve fare qualcosa per me e gli altri come me abbandonati dallo Stato. Non riesco più a riscaldare la mia casa. Andiamo avanti con bombole di gas”.

Per lui, che non ha mai pagato un solo euro alla mafia e ha denunciato subito i suoi taglieggiatori, lavorare è diventato impossibile: nessuno si è più affidato alla sua impresa. Ma cartelle esattoriali e scoperture bancarie hanno continuato ad affliggerlo. Fino ad ora ha sempre pagato con i suoi soldi. Adesso non può più farlo e gli servono 20 mila euro.

Ma ne è valsa la pena e perché non ha subito cambiato identità ed è fuggito all’estero? “Perché – dice commosso – la lotta alla mafia non la devono fare solo le forze dell’ordine e la magistratura, ma anche i cittadini. E poi sono stato educato ai valori della legalità da mio padre, che nella sua vita si è ammazzato di lavoro.  Sono stato abituato sin da piccolo a faticare, tenere duro, non mollare mai, perché ogni goccia di sudore salata che scendeva sul mio viso sotto al sole d’agosto era una goccia di dignità, era un grande orgoglio per me. Di questo devo ringraziare solo mio padre”.

Ignazio è stanco, ma fiero di sé. “Abbiamo vinto noi – dice – Noi abbiamo mantenuto intatta la nostra dignità. E’ lo Stato, e certa politica, che dovrebbero vergognarsi!”.

Ignazio Cutrò

Lo fa intendere anche nel libro, intitolato “Abbiamo vinto noi”, pubblicato di recente da Melampo, scritto con Benny Calasanzio Borsellino, cronista, blogger, scrittore, a cui la mafia ha ucciso nonno e zio. Centottanta pagine in cui Ignazio lancia un messaggio: Contro la mafia si può vincere grazie allo Stato e nonostante lo Stato. Non servono eroi, ma solo persone perbene che con dignità fanno il loro dovere.

Adesso l’imprenditore – geometra, che da ragazzino voleva fare il medico, è in attesa di una risposta. Solo allora deciderà se restare o andare via. Con la coscienza a posto.

                                                                                                                          Cinzia Ficco

 

Ignazio Cutrò (1967), è un imprenditore edile di Bivona, in provincia di Agrigento. Dal 1999 subisce intimidazioni e minacce di morte che lo costringono a vivere sotto scorta con la sua famiglia. Grazie alla sua testimonianza è stato istruito il processo Face Off  che ha condannato la cosca mafiosa della Bassa Quisquina. Pur entrando nel programma di protezione testimoni è riuscito a rimanere nel suo comune e a lavorare per un certo periodo. E’ Presidente della prima Associazione nazionale dei testimoni di giustizia. Non ha mai pagato un centesimo alla mafia.

 


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