Oé, ma avete mai provato a girare con la bici nel traffico mattutino londinese?!
Premesso che nove mesi su dodici la temperatura esterna é talmente bassa che quando arrivi al lavoro ti devono scartare tipo baccalà del Billingsgate Market — e non puoi nemmeno comunicare con i tuoi colleghi perché ti ci vuole qualche minuto per riprenderti dalla paresi facciale; poi, quando non stai evitando tassisti assassini che cercano di metterti sotto per avere qualcosa da raccontare al pub in serata, o pedoni con desideri suicidi che si lanciano sulla strada tipo quindicenni sotto al palco di Justin Bieber, allora puoi stare certo che ci sarà almeno una betoniera piena di catrame che aspetterà soltanto te per omaggiarti con una gradevolissima aromaterapia, o un bus a due piani che ti sgaserà addosso un’abbronzatura dalla tonalità “Tramonto in Namibia” fino all’angolo prima dell’ufficio. In alcuni momenti di sonnolenza, poi, ti potrà capitare di trovarti in rotta di collisione frontale con un tir da 17 tonnellate, che con un dolce suono di clacson ti fa presente che stai guidando sulla corsia vagamente contromano. Cose che capitano.
Ma questo é nulla paragonato alla guerra tra i ciclisti ritardatari che, per guadagnarsi il primo posto al semaforo, ti infilano con un sorriso un ombrello in titanio rinforzato tra i raggi della bici o, più sportivamente, lo usano per agganciarsi al netturbino di passaggio (assicurandosi di salutarti al sorpasso). Ma per chi, come me, ha la sfortuna di abitare a sud-est di Londra, c’é anche una giornaliera impresa che si colloca tra il percorso-vita ed il biglietto della lotteria: il Tower Bridge.
Non solo la china sud é più bassa di quella nord, il che significa doversi inerpicare in salita con una tenacia pari a quella di Fausto Coppi al giro d’Italia, ma c’é un terribile rischio che incombe su chi osa attraversare tale ponte: quello di udire un rimbombo inquietante — tipo corno di guerra maori — che echeggia un cantico di morte tra gli ignari cittadini. Questo segnale viene immediatamente compreso dai ciclisti, consapevoli dell’usanza, che immediatamente assumono un’espressione di puro terrore. No, non si tratta di una dichiarazione di guerra da parte di una nazione estera: significa che il Tower Bridge si sta sollevando per far passare una nave.
Ecco che alcuni disperati impiegati ritardatari si lanciano nel fatale salto del ponte(*): alcuni — i più fortunati — verranno recuperati dall’altra sponda del fiume, solitamente dagli addetti ai lavori del Tower of London che, giá che ci sono, faranno fare loro la fine di Elisabetta I (per la gioia dei turisti). I più sfortunati verranno ritrovati poche ore più tardi, arenati senza vita tra i rifiuti della baia di Mile End, e di lí a poco venduti al dettaglio in qualche take-away cinese ove non osano i controlli sanitari. Per chi non avesse avuto il coraggio di prendere parte allo sconsiderato quanto disperato gesto non resta che intavolare la più classica delle manifestazioni di disappunto: una ola di insulti viene infatti sollevata da entrambi i lati del ponte: prima si inveisce contro il sindaco, poi contro il Parlamento; poi contro l’Inghilterra; infine contro il Regno Unito (si evita doviziosamente di coinvolgere la Regina). Dal tettuccio di emergenza del bus numero 47 fa spola la bandiera dei pirati e segue dichiarazione di guerra alla sala macchine con tentativo di assalto frontale, ma non c’é niente da fare: i manovratori bene abituati a tali tattiche sono già barricati al’interno della sala blindata, con tanto di esplosivo ereditato dai partigiani dalla seconda guerra mondiale e che minacciano di usare. Dopo breve ridiscussione dei piani é evidente che alla nave sarà permesso il passaggio.
Passano quindici interminabili minuti, al termine dei quali, infuriati ed allibiti, cominciamo a macinare commenti di autocommiserazione: “Sicuramente stará per passare qualcosa di importante, di molto importante: chessó, il HMS Belfast… il Cutty Sark… il Mary Rose…”… magari. Purtroppo, come sempre, scopriamo che la nave che ci ha fatto accumulare un ritardo colossale non é altro che una moderna nave da crociera extralusso, dal ponte della quale grassi tedeschi mangiacrauti e sovrappeso ci salutano con gioia, scattandoci anche tante belle fotografie (poi a casa si sentiranno domandare come mai così tanti londinesi fanno il dito medio nelle foto).
Così, dopo soli 30 minuti di imbarazzante ritardo, giungo finalmente al lavoro: stanco, congelato, malnutrito ed alterato. Scopro che non é andata molto meglio agli altri colleghi: uno ha fatto tardi perché il solito trader in bancarotta ha scelto proprio quella linea e quell’ora per farla finita; l’altro perché il solito gruppo di idioti ha pensato bene di rubare i cavi dell’elettricità fermando l’intero treno; l’altro per colpa del solito signal failure (con lla sveglia). Uno ad uno, strisciamo verso la scrivania in silenzio ed imbarazzo, cercando di mimetizzarci sulla moquette ma (figuriamoci) il direttore, che é già al lavoro dalle sette di mattina, non può fare a meno di lanciare un commento simpatico verso gli ultimi arrivati, che — casualmente — si conclude verso il sottoscritto con un “…certo che almeno tu, che vieni al lavoro con la bici...”.
Carissimo, sai cosa ti dico? Se lavorassi per il FSA proporrei come regola europea un corso obbligatorio per tutti i direttori di banca: un giro obbligatorio su una di quelle biciclette scassate della Barclays — quelle di plastica che vanno a un chilometro all’ora anche a spingerle in discesa — e costringerli a farsi una sana pedalata in centro, magari alle 17:05, quando i gas di scarico delle auto fanno quella bella nebbiolina opaca e le segretarie ubriache si fiondano verso il pub più vicino tipo uccelli di Angry Birds. Allora forse ti verrebbe un briciolo di compassione per noi poveri ciclisti che sopravviviamo in una delle cittá piú trafficate d’Europa. Ah, dimenticavo: e giá che ci sei perderesti qualche chilo.
(*)= NO, non si può fare veramente il salto del ponte, ci sono dei cancelli che ti impediscono di suicidarti.