Da antofagasta a oruro – in viaggio con la vespa 12

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Da Antofagasta a Oruro. Oggi ci spostiamo dal Nord del Cile alla Bolivia. Prosegue l’itinerario nel mondo in viaggio con la Vespa (e non solo) di Giorgio Càeran, con la dodicesima puntata. 

di Giorgio Càeran

Da Giramondo libero – In viaggio con la Vespa o con lo zaino (Giorgio Nada Editore)

(gennaio 1988, parte di un viaggio iniziato il 1° ottobre 1987 e finito il 24 aprile 1988)

Lunedì 29 febbraio parto verso nord-est percorrendo duecentoquindici chilometri nella zona settentrionale del Cile. Dopo aver superato il Tropico del Capricorno, lasciando Antofagasta (distante tremilaquattrocento chilometri da Punta Arenas), sull’oceano Pacifico, giungo a Calama. Un’escursione di sedici chilometri a nord della città (m 2.265 sul livello del mare) mi permette di vedere la miniera di Chuquicamata, che assomiglia a un enorme anfiteatro e gode la fama di essere la miniera all’aperto più grande del mondo (3600 metri di lunghezza, 1600 di larghezza, 430 di profondità).

Valparaíso (da Wikipedia)

In precedenza ero stato tre giorni nella caratteristica Valparaíso, dotata di quindici ascensori per accedere alla città antica e situata sulle colline circondanti la pianura che arriva sino al mare. L’ascensore più vecchio è il Concepción, costruito nel 1887, ma il più famoso, diventato simbolo della città, è il Polanco (edificato nel 1915), ubicato nella calle Simpson. Mentre quattordici ascensori di Valparaíso seguono un percorso in posizione obliqua, il Polanco non fa altrettanto: viaggia in una galleria lunga centoventi metri scavata nella roccia della montagna, e si alza di ventisei metri all’interno di una torre verticale che, dopo aver fatto una fermata intermedia, in cima comunica con la città alta per mezzo di un ponte lungo quarantotto metri.

Mi è capitato anche di pernottare due notti, con il sacco a pelo, sulla spiaggia di Chanaral: una località piccolissima e con un’aria sonnolenta, che si affaccia sul Pacifico. Chanaral non era bellissima, tuttavia mi piaceva. Le colline grigie e color ocra raccolte a corona attorno alle case sembravano proteggere il villaggio dagli spiriti cattivi. Peccato soltanto che, da quando lo scorso 16 dicembre avevo lasciato quel bel gioiello d’architettura coloniale che è Paratí, lungo il viaggio non abbia più trovato l’acqua gradevolmente calda per fare beatamente il bagno. In Cile l’acqua del mare è fredda.

In ogni modo, la sera del 2 marzo, alla stazione ferroviaria di Calama, ritrovo per la quinta volta in questo viaggio della durata di sette mesi Christophe, uno dei due transalpini incontrati sul Rio delle Amazzoni, sulle coste brasiliane del Nordeste e, il 23 gennaio, nella Terra del Fuoco. Quanto è piccolo il mondo! Noi abbiamo sempre viaggiato senza itinerari ben programmati, un po’ a casaccio. Io, per esempio, alla vigilia della partenza per il Sud America volevo visitare Belém, Salvador de Bahia, le cascate di Iguaçu, Ushuaia e le Ande boliviane e peruviane, ma senza avere idea del percorso da seguire: mi sono limitato a farmi guidare dall’istinto e dalle informazioni che via via ho ricevuto da altri giramondo come me.

Con Christophe e con altri tre viaggiatori conosciuti a Calama parto in treno per la Bolivia, arrivando alle 7 del mattino successivo alla frontiera di Ollagüe (m 3.695 s/m). Lì si deve aspettare pazientemente per l’intera giornata la coincidenza del treno boliviano proveniente da La Paz. In Sud America i treni viaggiano solo sul proprio territorio, perciò per i collegamenti internazionali i passeggeri sono costretti a scendere e a salire su un treno della nazione confinante. Finalmente, a mezzanotte, con l’arrivo del treno boliviano, si parte.

Oruro (da Wikipedia)

Venerdì 4 marzo, dopo quarantatré ore dalla partenza da Calama (per un percorso di circa ottocentonovanta chilometri), approdo a Oruro sulle Ande (a 3.706 metri sul livello del mare). Dopo aver bevuto tanto caffè pessimo, fortunatamente posso rifarmi: in Bolivia questa bevanda è molto forte (come piace a me); pronta in bottiglia, viene presa man mano e allungata con acqua. Restando in tema di bevande, trovo delizioso il batido, un frullato composto da birra di malto, una o due uova fresche, cannella o zucchero. Oruro ha un gran mercato, nel quale dominano donne indios piccole e grasse con neonati attaccati ai seni, vestite con larghe gonne dai colori sgargianti e fiere dei berretti di forma cilindrica ormai divenuti parte integrante del loro costume. Tante vendono foglie di coca raccolte in cesti di vimini: il termine coca deriva da “kuka”, secondo la lingua indigena quechua, e gli antichi Incas usarono molto le foglie della pianta per composti medicinali e infusioni, oppure semplicemente masticandola affinché si riducessero la fatica e la fame.

Intere famiglie di indios sono giunte dai borghi vicini carichi delle loro mercanzie. Lane dai colori molto vivaci sono in vendita un po’ ovunque: le donne ne comprano per fare borsette, coperte e vesti tipiche della Bolivia. Borse multicolori arricchite da pregiati tessuti con fili assai sottili, statuette e maschere rappresentanti le figure della Diablada (una folcloristica cerimonia danzante, che a Oruro si tiene in occasione del carnevale), costumi vari, mantelli, boleri, stoffe dei campesinos di lana color panna tessute artigianalmente, ponchos, copricapi lavorati a mano nei vistosissimi colori carnevaleschi, cappelli e guanti di lana, calze, coperte fortemente colorate, monili, svariati e strani strumenti musicali, oggetti e monete d’argento, giocattoli meccanici di legno, ceste di tutti i colori e le forme, qualche maschera di legno dipinta a mano, specchietti colorati, oggetti di ceramica e di terracotta, zucche intagliate, calzature “campesine” ricavate da pneumatici, cinture multicolori, ceri di diverse dimensioni con colori finemente lavorati, vecchie macchine per cucire, dolciumi, generi alimentari, chincaglieria, oggetti di prima necessità: dappertutto brilla il colore di quella terra e della sua gente. Tutto ciò è piacevole da vedersi; a ogni angolo, particolarmente nelle piazzette, si formano minuscoli gruppi di persone impegnati nei più svariati affari e nei giochi d’azzardo: bisbigli, urla, vocii, strani movimenti delle mani, imprecazioni…

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