Da Cervantes un inno alla letteratura italiana

Creato il 28 giugno 2014 da Catreporter79

Nel capitolo VI del libro primo del Don Chisciotte, il barbiere e il curato dell’eccentrico cavaliere fanno un inventario dei volumi presenti nella sua biblioteca, allo scopo bruciare quelli da loro ritenuti responsabili della follia del mancègo . Tra un’opera e l’altra, Miguel de Cervantes trova l’occasione per lodare la letteratura italiana e i suoi protagonisti. Questi, alcuni brani del capitolo:

“ Questo è lo Specchio della Cavalleria — Ah! lo conosco molto bene, rispose il curato; ecco qua il signor Rinaldo di Montalbano cogli amici e compagni suoi più ladri di Caco, e i dodici paladini col loro storico veritiero Turpino! In verità che sarei per condannarli soltanto ad eterno bando, non per altro se non perché hanno avuto gran parte nella invenzione del celebre Matteo Bojardo, d’onde ha poi ordita la sua tela il cristiano poeta Lodovico Ariosto; al quale, se qui si trovasse, e parlasse un idioma diverso dal suo proprio, non porterei rispetto, ma se fosse nel suo linguaggio originale, me lo riporrei sopra la testa. — Io lo tengo in italiano, disse il barbiere, ma non l’intendo. — Non è neppur bene che da voi sia inteso, rispose il curato; e perdoniamo per ora a quel signor capitano che lo ha tradotto in lingua castigliana, togliendogli gran parte del nativo suo pregio”.

“Questi, disse il barbiere aprendo un altro volume, sono i Dieci libri della fortuna di Amore composti da Antonio di Lofraso poeta sardo. — Per quanto vale il giudizio mio, disse il curato, da che Apollo è Apollo, muse le muse, e poeti i poeti, non fu composto giammai libro tanto grazioso e spropositato a un tempo medesimo quanto questo; per la sua invenzione è il migliore e il più singolare di quanti n’uscirono mai alla luce del mondo, e chi non lo ha letto può far conto di non aver letto mai produzione veramente gustosa: datelo qua, compare, ché sono più contento d’aver trovato questo libro che se qualcuno mi avesse regalata una veste di raso di Firenze”.

“Qui seguono tre libri uniti insieme: la Araucana di don Alonzo d’Erciglia; l’Austriada di Giovanni Rufo Giurato di Cordova; e il Monserrato di Cristoforo di Viruez, poeta di Valenza — Non esistono, disse il curato, libri di verso eroico scritti in lingua castigliana più pregiati di questi, e possono stare in competenza co’ più illustri d’Italia: si custodiscano come le più preziose gioje poetiche che vanti la Spagna.”

Si potrà notare l’alto credito di cui all’epoca (come in altri momenti storici) godeva la letteratura italiana. Benché, ad ogni modo, si tratti di una delle fasi più illustri e feconde per i nostri autori, essa viene spesso sottovalutata (si pensi al Boiardo), a vantaggio della produzione di altri paesi e civiltà.



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