Il linguaggio rappresenta uno degli aspetti più affascinanti e complessi dell’antropologia culturale. Rivela abitudini, modi d’essere e aspetti culturali e sociali altrimenti impossibili da indagare. Sono proprio le espressioni popolari, quelle che sopravvivono alle società, che rivelano peculiarità culturali in grado di raccontare, più d’ogni altra cosa, lo spirito e la storia di un popolo.
La lingua napoletana conserva una gran quantità di “modi di dire” capaci di identificare, in modo conciso e inconfondibile, situazioni e contesti di vita.
Ad esempio, chi di voi conosce precisamente l’origine etimologica dell’espressione: bbuo’ trasi’ inta scazzett? Partiamo con il dire che la scazzetta altro non è che un particolare tipo di copricapo utilizzato dai preti e dagli uomini di chiesa. Di forma semisferica, presentava una grandissima capacità di aderenza. La sua forma permetteva alla stoffa di “appiccicarsi” perfettamente alla testa dei preti, coprendo perfino parte del collo. Una sorta di “velo” che riusciva a tenere nascosta, con meticolosa precisione, la tonsura del sacerdote.
Partendo dall’assunto che ciò che nascondeva la “scazzetta” era impossibile da vedere a chiunque, se non a colui che la indossava, coloro che volevano “guardarci sotto” erano (e sono tutt’ora) persone di grande puntiglio ed estrema indiscrezione.
Tale espressione viene utilizzata ancora oggi per chi vuole andare troppo in profondità, rischiando a volte, di travalicare limiti imposti dalla decenza e dalla riservatezza.