Da dove nasce un buon pugile

Da Matteotelara

Amato da scrittori di grande fama quali ad esempio Ernest Hemingway ed Elmore Leonard, W.C. Heinz è in Italia ancora relativamente poco conosciuto.
Eppure fu Hemingway stesso, all’indomani dell’uscita del primo romanzo di Heinz, Il Professionista, che non esitò a definire questa storia l’unico bel romanzo sulla boxe che avesse mai letto e il suo autore uno dei più bravi e promettenti dell’epoca.
Heinz e Hemingway in realtà si erano già conosciuti anni prima dell’uscita de Il Professionista, in Germania, durante il secondo conflitto mondiale, quando Heinz lavorava come inviato di guerra del New York Sun ed Hemingway del Collier’s.
Heinz però impiegò molto tempo prima di riuscire a pubblicare il suo primo romanzo (Il Professionista è del 1958) e la sua fama restò per lunghi anni legata più alla sua attività di giornalista sportivo (insieme a Tom Wolfe, Jimmy Breslin e Gay Talese gettò le basi di quel “New Journalism” destinato a cambiare la nostra maniera di leggere i quotidiani e di rapportarci al mondo) che a quella di autore di racconti e romanzi.
In Italia, Il Professionista è uscito per la prima volta nel 2012, edito da Giunti (Il Professionista, traduzione di Roberto Serrai, pp367, euro 12) completo di una celebre prefazione di Elmore Leonard nella quale l’autore di Out of Sight condivide con chi legge quanto provò nel 1958, quanto Il Professionista uscì negli Stati Uniti.
La storia ripercorre, dal punto di vista della voce narrante Frank Hughes (giornalista sportivo dietro cui è facile riconoscere Heinz) un mese nella vita di Eddie Brown, pugile professionista che dopo una lunga e anonima carriera ha finalmente la possibilità di combattere per il titolo mondiale.
Il mese – quel mese di cui Il Professionista è fatto – è il mese prima dell’incontro, il mese dell’allenamento, dei ricordi, della memoria che ripercorre come si è arrivati al proprio appuntamento col destino, della fatica, dei sogni, dei rapporti coi colleghi, dei pregiudizi e delle bassezze ma anche della lealtà e del senso delle cose di uno sport che ha dovuto lottare più a lungo e più duramente di molti altri per arrivare ad essere definito tale.
Heinz, naturalmente (credevate non fosse così? Credevate si potesse raccontare così bene qualcosa che non si conosce?) sa quello che narra e lo fa con uno stile privo di orpelli, efficace e duro, capace di colpire quando c’è da colpire e di commuovere – senza però dare l’impressione di farlo – quando c’è da commuovere. Uno stile. il suo, come scrive anche Elmore Leonard nella Prefazione, che deve moltissimo a Hemingway, “per esempio nel modo in cui Bill usa la congiunzione ‘e’ :

era seduta con un’altra donna, anche lei sulla quarantina e i loro cappotti e gli accessori erano troppo nuovi e scelti con troppa cura e poco gusto
 
“La frase”, continua Leonard, “è semplice, una descrizione attenta al dettaglio; guardate però come le parole sono messe in movimento, con un senso quasi drammatico, dalla ripetizione della e”.
Tutto vero. Insieme alla verità delle parole successive, poche righe più sotto, quando Leonard sottolinea la capacità di Heinz di eliminare dalla sua prosa le parole non indispensabili mostrando come, in un dialogo, l’unico verbo che davvero serva sia “disse”.
Ma Il Professionista non è solo il romanzo il cui stile (per sua stessa ammissione) indicò ad Elmore Leonard la strada per costruirne uno suo proprio, esso è anche una di quelle storie in cui, per quel qualcosa di misterioso che alle volte fa di una narrazione l’inaspettata metafora delle nostre vite, è rimasto imprigionato molto più di quanto sembra si stia dando l’impressione di raccontare.
La prosa tersa, essenziale ed onesta di Heinz è tutt’oggi un esempio a cui guardare e da cui imparare.
Nella fatale parabola del pugile Eddie Brown e del suo mondo si specchia tragicamente e con grande schiettezza la parabola ben più vasta e universale dell’inseguimento dei nostri sogni (dei sogni di ognuno di noi) e della lotta contro un destino, umano e naturale, avverso.
Questa storia di formazione e caduta, allora, a ben guardare, non è solo, per dirla alla Hemingway, “l’unico bel romanzo sulla box che abbia mai letto”, ma un grande romanzo tout court, dove la vita entra e respira e dove il ragionamento sul pugilato sembra addirittura divenire riflessione sulla scrittura stessa.
“Un buon pugile nasce da tutti quelli che lo hanno preceduto” fa dire Heinz a Doc, il vecchio manager di Eddie, giunto anche lui all’incontro in cui tutto si decide – dopo una vita passata a cercare di raggiungere quell’unico obiettivo che forse anche questa volta mancherà – e nel dirlo non posso fare a meno di pensare che valga la stessa regola anche per chi scrive: W.C. Heinz può rendere chi lo legge uno scrittore migliore.


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