Da Fazio si parla di morte

Creato il 20 novembre 2011 da Ilsegnocheresta By Loretta Dalola

A Che tempo che fa, Fabio Fazio ospita la giornalista Concita de Gregorio , in libreria con Così è la vita – Imparare a dirsi addio, un percorso attraverso la malattia, la fragilità, la vecchiaia e la morte vissuto dalla parte dei bambini; La morte fa parte della vita. Merita di essere vissuta e accettata. Compresa, non compressa o evitata e nascosta. Non siamo abituati a parlare della morte nella vita quotidiana, “perché in tutto quello che ci è capitato in questi venti anni,ci siamo dimenticati di quello che amiamo e ci addolora, bisogna raccontare la vita così com’è, uscire dalla menzogna propagandistica e parlare del più grande tabù, esplulso dagli anni della politica vincente, fissi in un eterno presente. Se non c’è il tempo che scorre non c’è più nulla, nemmeno le responsabilità e il merito”!

I bambini fanno domande, a volte spiazzanti, vogliono sapere perché nasciamo, dove andiamo dopo la morte, perché esiste il dolore, cos’è la felicità.  E gli adulti sono costretti a trovare delle risposte. E un esercizio tra la filosofia e il candore, che ci obbliga a rivedere ogni volta il nostro rassicurante sistema di valori.

Attraverso la loro ricerca della verità  ci accorgiamo di aver vissuto in una società che ha celebrato la  plastificazione del proprio corpo, negando il  tempo che scorre e mettendo al rogo la vecchiaia e la morte:” le donne sono tutte trentenni, cagionevoli e molto appuntite, hanno tutte molto caldo, perché sono sempre nude, gli uomini arrivano a quarant’anni e poi spariscono, eccetto quelli in politica”! Cancellare i segni del tempo sul viso, sul corpo può dare l’impressione di arrestare il tempo, di metterlo in pausa, ma in tal modo si elimina anche il concetto di tempo, che sparisce non solo dalla faccia, ma, anche dall’anima. Invecchiare e morire sono un diritto, e questo è molto politico.”

Ai bambini è negata l’esperienza della fine. Trovare le risposte appare frustrante eppure la nostra vita quotidiana è piena di morte, il cerchio della vita si conclude con essa e fortifica chi rimane. La fragilità , la sofferenza, la contingenza e la morte, come la sconfitta sono stati esclusi dal quadro mentale degli uomini contemporanei,  sono fonte di frustrazione e di vergogna. Sono avvenimenti secondari che divengono estranei. Temi proibiti e difficile. Gli stessi adulti hanno paura a trattare queste argomentazioni, come se fossero impreparati. Nessuno la racconta davvero e ti coglie sempre di sorpresa, come se l’infelicità, la malattia, la morte, il dolore fossero un imprevisto, un’eccezione, un capriccio del destino anziché la sorte che tutti ci accomuna. Bisogna ripartire da quello sguardo infantile che guarda la morte cercando in essa la spiegazione della vita. Funerali e malattie, insuccessi e sconfitte, se osservati e vissuti con dignità e condivisione, diventano occasioni imperdibili di crescita, di allegria, di pienezza. Perché se non c’è peggior angoscia della solitudine e del silenzio, non c’è miglior sollievo che attraversare il dolore e trasformarlo in forza che divine uno sguardo di pienezza e di naturalità racchiuso in quel congedarsi dalla vita nel modo migliore possibile.

E un altro modo per celebrare la morte ci viene dato dall’incontro con la musica.  Dori Ghezzi, presidente e fondatrice della Fondazione Fabrizio De André presenta Sogno n°1, album che raccoglie dieci storici brani del poeta e cantautore genovese, eseguiti dalla London Symphony Orchestra, arrangiato e diretto dal maestro Geoff Westley. Un’operazione interessante che ci collega alla morte con qualcosa di onirico. La musica come collante della grande sensibilità artistica di Fabrizio De Andrè, la voce e la suggestione orchestrale ci permette di fondere il presente e il passato, permettendoci di meglio comprendere il messaggio di una sorgente di verità e di luce nel tempo buio che stiamo attraversando.

“La preoccupazione per la propria immagine, è questa la fatale immaturità dell’uomo. E’ così difficile essere indifferenti alla propria immagine. Una tale indifferenza è al di sopra delle forze umane. L’uomo ci arriva solo dopo la morte”. Milan Kundera


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