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da giusto pio al pulcino pio: evoluzione di un disco per l’estate

Creato il 20 luglio 2013 da Plus1gmt

Se mi chiedete a bruciapelo un disco da associare al mood estivo ho la risposta pronta ed è “La voce del padrone” di Franco Battiato. Ora non voglio farvi il pippotto su un uno degli album più celebri della musica italiana perché potete leggerne storia, vizi e virtù con una banale ricerca su Google. Rolling Stone Italia lo ha classificato addirittura al secondo posto delle migliori produzioni nazionali di tutti i tempi, secondo solo – e immeritatamente, a mio giudizio – a quel Vasco d’altri tempi di Bollicine che anche lì ce ne sarebbe da raccontare sui numerosi singoli tratti da quell’insieme di successi gettonatissimi (oddio cos’ho scritto) nei juke box delle rotonde sul mare. Il valore del disco di Battiato però secondo me è doppio, perché intanto è del 1981 ed è una sorta di suo coming out artistico perché poi i puristi lo menano ancora oggi del suo periodo progressive e sperimentale, ma vorrei far notare a costoro cos’era la musica commerciale italiana nel 1981. Non si può certo paragonare con Bollicine, tutt’altro genere, però la pietra miliare del rocker di Zocca esce un paio di anni dopo e non tocca certo a me ricordare il peso socio-culturale di quei due anni di mezzo. E poi conoscete il mio giudizio su Vasco. Ma per tornare allo spunto di questo post, associo La voce del padrone al mood estivo perché il disco rimase ai vertici delle classifiche praticamente per tutta l’estate dell’82 e, davvero, non si sentiva altro. E non so spiegarvi il motivo, ma io quell’anno lì non me lo sono filato per niente. Non si trattava di snobismo. Non saprei spiegare il perché ma proprio tra me e Battiato non c’era feeling il che è strano, voglio dire, capisco con Vasco Rossi ma con lui boh. Così ho il rammarico di non aver usato un pezzo come “Summer on a solitary beach” come colonna sonora per la bella stagione dell’anno in cui siamo diventati campioni del mondo, di non aver apprezzato abbastanza la sagacia del testo di “Bandiera bianca”, di non aver fatto mio l’inno di battaglia di “Centro di gravità permanente”, di non aver sognato romanticamente sulle note di “Cuccuruccucu”. Forse era quel titolo autoritario che evocava antiche emancipazioni mancate o una ironia difficile da cogliere nell’universo adolescenziale in cui mi stavo perdendo. Ma vi giuro che poi ho recuperato, adoro quel disco e non me ne separerei per nulla in cambio, nemmeno per due album di Neffa che, a dirla tutta, con “Devi stare molto calmo” da “Summer on a solitary beach” ha preso a piene mani. Magari è un tributo, lui l’ha detto ma nessuno se ne è accorto.





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