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Da Lisbona a Kiev, costruire l’Europa: intervista a Carlo Stagnaro

Creato il 30 dicembre 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi
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di Giuseppe Dentice e Maria Serra

Carlo Stagnaro
L’ultimo scorcio del 2013 ha suscitato spunti di riflessione per il futuro dell’Europa unita: il Vertice di Vilnius sull’Eastern Partnership, i fatti che si sono immediatamente verificati in Ucraina a seguito della mancata sigla dell’Accordo di Associazione, la firma della decisione finale di investimento del Consorzio Shah Deniz sul progetto di gasdotto Trans-Adriatic Pipeline (TAP), l’implementazione del Connecting Europe Facility, alimentano il dibattito sulla direzione che il processo di costruzione – anche in senso letterale – dell’Unione Europea dovrà intraprendere. Si tratta, in particolare, delle opportunità e dei costi/benefici socio-economici che uno spazio maggiormente integrato può garantire. Di energia, trasporti e di nuovi orizzonti economici, l’Osservatorio di Politica Internazionale di BloGlobal ne ha discusso con Carlo Stagnaro, Direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni, nonché editorialista de Il Foglio e Il Secolo XIX e collaboratore delle riviste Aspenia ed Energia. Ha pubblicato numerosi articoli anche su quotidiani quali The Wall Street Journal, Il Sole 24 Ore, Corriere della Sera, Washington Times, National Post e altri. Sul sito Huffington Post Italia cura inoltre un blog con Alberto Saravalle. L’incontro è avvenuto a margine dell’evento “Prima l’Italia” organizzato da Muoviti per la Novità a Torino gli scorsi 30 novembre e 1 dicembre, dove BloGlobal-OPI ha partecipato in qualità di media partner.

L’approvvigionamento di idrocarburi rappresenta uno dei fattori di maggior rilevanza per l’Europa, la quale ad oggi è ancora troppo dipendente dal gas russo. Per allentare la sua dipendenza da Mosca, negli ultimi anni Bruxelles ha provato a diversificare le proprie entrate energetiche.  La decisione di costruire il TAP sembra confermare questa tendenza. Quali scenari si aprono per la sicurezza degli approvvigionamenti e per il mercato energetico  europeo?

Io credo che la realizzazione del TAP sia una risposta realistica al Nabucco e al South Stream e questo rappresenta, potenzialmente, una buona notizia perché consente all’Europa di aprire un nuovo canale di rifornimento e quindi una nuova via diversificazione dal gas russo e ai Paesi del Caspio di trovarsi in una condizione di non diretta e totale dipendenza per le loro esportazioni dal canale russo. Io credo che tale opera vada inserita all’interno di un contesto europeo di sviluppo di un mercato del gas che fino a pochi anni fa era in grande ascesa. Infatti 4-5 anni fa la domanda era molto elevata rispetto alle potenzialità di importazione, questa continuerà a crescere e l’offerta deve arrancare rispetto alla domanda che sembra irraggiungibile o che almeno prospettivamente sembra irraggiungibile. Il mondo che abbiamo oggi davanti a noi è molto diverso, questo è vero in Italia quanto in Europa in generale; il perché di ciò si spiega con una crescita molto moderata o addirittura una decrescita della domanda, una situazione influenzata da vari fattori come la crisi economica, le rinnovabili o la sfida di alcuni Paesi del nucleare che non riescono a soddisfare la domanda addizionale. Così facendo abbiamo una non più così stretta condizione infrastrutturale. Le infrastrutture esistenti lasciano un ragionevole margine di tranquillità nel breve termine e in questo senso mi pare che questa sia una grande opportunità per l’Europa per depoliticizzare la sua politica infrastrutturale e puntare invece sull’integrazione dei mercati. In questo momento a me pare che ci sia la necessità di spendere meglio le risorse comunitarie per rendere meglio connessa l’Europa al suo interno piuttosto che costruire nuovi canali di importazione dall’esterno.

Restando sul tema delle infrastrutture e dei trasporti, infatti, è dello scorso 19 novembre la votazione sul Connecting Europe Facility (CEF), un nuovo meccanismo volto ad accelerare il finanziamento per completare le infrastrutture nei settori dei trasporti, dell’energia e delle telecomunicazioni in tutta l’Europa, e sul TEN-T,  la rete trans-europea dei trasporti. Lei ritiene che questi programmi siano utili ad ammodernare, a migliorare l’interoperabilità tra gli Stati membri e a rendere maggiormente competitiva l’Europa?

La risposta è chiaramente “SI”, anche se parlando di trasporti ed in particolare di quello ferroviario, mi pare che l’investimento più grande non debba essere rivolto all’infrastruttura fisica ma a quella immateriale, ossia all’introduzione di norme e regole, ragionevolmente simili, nei diversi Paesi europei, tali da consentire un’effettiva apertura e competizione dei mercati, cosa che oggi nella maggior parte dei casi non avviene. Fanno solo eccezione Regno Unito, Svezia, Germania e in minima parte l’Italia con il sistema di alta velocità; invece in tutti gli altri Paesi europei inclusa quella larga fetta d’Italia dove non è stata ancora realizzata l’alta velocità, cioè per il 95%-98% del mercato, non esiste nessuna forma di competizione e di integrazione e quindi non esiste nessun incentivo a trattare meglio i passeggeri e così via. Per cui anche in questo caso prima di avere una linea ad alta velocità est-ovest o nord-sud in Europa, sarebbe meglio avere dei treni che all’interno dei singoli Paesi o che nell’interazione tra Paesi membri riescano a garantire un migliore servizio.

ten-t

Il mese scorso si è tenuto a Vilnius un importante vertice che nelle aspettative avrebbe dovuto attrarre definitivamente verso Bruxelles anche i Paesi più periferici del Continente. Tuttavia solo Georgia e Moldavia hanno infine firmato l’Accordo di Associazione, mentre l’Ucraina sembra essere tornata a prediligere le relazioni con la Russia. Cosa pensa che possiamo lecitamente aspettarci in termini economici da una riuscita in tempi medio-brevi del Partenariato Orientale?

L’Europa è oggi molte cose e può essere a giusto o a torto definito come un tentativo più o meno riuscito di uno spazio comune dove persone, beni, capitali e servizi possono muoversi. Questo in alcuni casi è riuscito meglio (vedi il trasporto aereo), in altri meno (vedi il trasporto ferroviario) però nel complesso, questo spazio comune ha generato tendenzialmente più benefici sociali che costi privati. Se questo è stato possibile per un’Europa prima a 15 e poi a 28, questo sarà vero anche per ulteriori allargamenti dell’UE. Questo sarà vero soprattutto se si creeranno norme e regole semplici, affidabili e allo stesso tempo rispettate in grado di creare una certa omogeneità tra i soggetti che vengono coinvolti, a partire dalla regolamentazione del settore di interesse fino al trattamento reciproco delle imprese di un Paese che ha attività in quello di nuovo accesso.

* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)

Segui @GiuseppeDentice

* Maria Serra è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università di Siena)

Segui @MariaSerra84

Photo credit: Commissione europea

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