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“Da Pietroburgo a Mosca. Le due capitali in Dostoevskij, Belyj, Bulgakov” di Gian Piero Piretto

Creato il 18 giugno 2013 da Sulromanzo
Autore: Francesco PeriMar, 18/06/2013 - 11:30

Gian Piero Piretto, Da Pietroburgo a MoscaCon questa seconda edizione di Da Pietroburgo a Mosca (Guerini e Associati, 2013) lo slavista e storico milanese Gian Piero Piretto, affermatosi nel frattempo come esperto di immaginari e mitologemi sovietici, ripropone a distanza di oltre vent’anni una raccolta di saggi che fotografano una prima fase dei suoi interessi di studioso, incentrata sulla storia letteraria delle “due capitali” russe.

Più che di una vera e propria monografia, si tratta di un montaggio di studi e contributi autonomi legati da fortissime affinità tematiche, bibliografiche e stilistiche (oltre che da qualche inevitabile ripetizione). Il tema comune di questi materiali, quasi tutti usciti in atti e riviste intorno alla metà degli anni Ottanta, è l’intreccio tra spazio urbano e narrazione in alcune opere fondamentali del canone letterario russo, indicativamente da Gogol’ (sempre presente sottotraccia) a Bulgakov, con Dostoevskij nella veste di ospite d’onore.

I “libri di città” vantano un’illustre tradizione nella slavistica italiana e non solo (basti pensare a due capisaldi comeIl mito di Pietroburgo di Ettore Lo Gatto e a Praga magica di Angelo Maria Ripellino), ma Piretto si discosta consapevolmente da quei modelli, spostando il baricentro tematico verso un’analisi dei micro-rapporti tra lo spazio, il gesto e la diegesi in alcune scene capitali del suo corpus romanzesco. A interessargli non è tanto la città come spettacolo e stratificazione secolare di senso (anche se questo aspetto rimane costantemente sullo sfondo), ma il modo specifico in cui di volta in volta la dimensione urbana si inscrive nella narrazione e nell’esperienza dei protagonisti. Da un lato, le scale di servizio, i viali, le porte, le finestre, gli scorci, i claustrofobici appartamenti dostoevskiani, le insegne moscovite degli anni Venti, l’Arbat; dall’altro, i modi in cui i personaggi e la scrittura “abitano” questi arredi scenici, sempre in procinto di scivolare dalla storia architettonica al piano simbolico-topologico (il rapporto dentro/fuori, la pregnanza della soglia, la dialettica tra facciata e intérieur, il gesto del varcare e dello scavalcare, il fiume come frontiera ecc.). In altri termini, Piretto interroga lo spazio delle due capitali russe e la gestualità “situata” dei personaggi per decifrare meccanismi letterari ed esplicitarne i sottintesi, piuttosto che, all’inverso, attingere alla tavolozza della letteratura per dipingere affreschi di storia urbanistica e culturale.

Il dualismo adombrato nel titolo non va inteso nel senso di un viaggio o di un percorso lineare, ma va letto piuttosto come una polarità. San Pietroburgo/Pietrogrado/Leningrado e Mosca sono come i due fuochi di un’ellissi, l’epitome di due diverse Russie, due realtà in perenne tensione ma irriducibili l’una all’altra. Da un lato, la “capitale del nord”, affacciata sull’Europa ma gelida e insalubre, città senza storia, posticcia, artificiale, polo burocratico e impiegatizio, metropoli sovraffollata in caotica espansione, rifugio della più varia umanità; dall’altro, Mosca, ricca di sedimentazioni storiche, luogo di memoria e tradizione, grande snodo commerciale e più tardi, all’epoca della NEP, punto di riferimento dell’avanguardia. Va osservato peraltro che il binomio intorno al quale si struttura il volume è decisamente sbilanciato a nordovest. La Mosca insieme realistica e fiabesca de Il maestro e Margherita, ripercorsa negli ultimi capitoli, è quasi un contrappeso, una timida postilla alla debordante Pietroburgo di Delitto e castigo, vero e proprio fulcro del lavoro analitico di Piretto, che sembra trovare la sua ideale ragion d’essere proprio nelle incessanti peregrinazioni di Raskol’nikov e nell’opprimente e promiscuo universo dei quartieri popolari pietroburghesi.

L’attenta lettura di Delitto e castigo, che impegna più di un capitolo, è incastonata tra una brillante analisi de Il sosia, gogoliana fatica giovanile di Dostoevskij e un’escursione nello spazio provinciale dei Fratelli Karamazov, che funge da controsoggetto “campagnolo”. La transizione alla Mosca di Bulgakov, cui è dedicato l’ultimo capitolo prima delle appendici, passa per un romanzo relativamente meno noto in Italia, Pietroburgo di Andrej Belyj, dove l’accento cade sul carattere fantasmagorico della città di marmo voluta da Pietro il Grande, sull’autoreferenzialità delle facciate, sul carattere di “quinta” e mero scenario di uno progetto urbanistico astratto, innaturale e curiosamente ambiguo, abitato dalla presenza inquietante dell’acqua. La riedizione del volume è arricchita da due integrazioni, leggermente meno interessanti e puntuali dei capitoli precedenti: una sorta di ritorno a posteriori sulla grammatica spaziale di Pietroburgo, con i suoi cortili e androni, e un curioso esame in controluce di due testi cantautorali italiani dedicati alla Russia (Battiato e Capossela).

Ben documentato ed elegante nello stile, il volume di Piretto è uno studio di piacevole e molto stimolante lettura. Attingendo a un’ampia bibliografia primaria e secondaria sui luoghi del romanzo russo e innestando quel materiale su un’analisi chirurgica di passaggi romanzeschi in cui lo spazio si carica di senso narrativo, Da Pietroburgo a Mosca dà luogo a una sorta di utile running comment a opere che hanno segnato l’immaginario letterario mondiale, e che è sempre gratificante riscoprire.

Specialistico nel taglio ma non piattamente accademico, il libro non respinge, anzi promette di affascinare il lettore non specialista interessato ad arricchire la sua percezione di alcuni episodi chiave del romanzo russo. L’argomentazione è lucida e piana, lo stile ricercato ma preciso, la tematica è scelta e sviluppata con accortezza ed equilibrio. Al tempo stesso, le frequenti citazioni in lingua e le indicazioni bibliografiche configurano, per chi ne avvertisse il bisogno, un livello di fruizione più ambizioso. Va in ogni caso precisato che il lavoro non sostituisce, ma anzi presuppone una buona conoscenza dei romanzi in esame, peraltro tutti accessibili al lettore italiano (con la parziale eccezione di Belyj, non più in libreria dal 1993).

L’unico rimpianto è che questa seconda edizione, di fatto una ristampa anastatica, erediti dalla prima qualche occasionale refuso nel testo italiano e russo.

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