da «Una vena unica» di Michele Colafato

Creato il 20 maggio 2011 da Viadellebelledonne

Il cavaliere polacco

Tutte le straripanti bellezze
del mondo che hai attraversato
in diagonale parafrasando
con decisi trasferimenti di accento
o cenni del capo,
il frustino poggiato sopra
i calzoni di fustagno scarlatto
il berretto di pelliccia rovesciato
la lunga casacca orientale
aperta sull’ambio e lo sguardo alto.
Tutte le bellezze del mondo
perché tu possa adesso passo
dopo passo vedere te stesso.

La notte della vigilia

La notte della vigilia
è la notte della tenerezza
per te stesso. Ti affacci
alla finestra e guardi la luna
con rispetto e con dolcezza,
poi indugi con lo sguardo
sulla terra. Non sei in alto
né in basso, non hai divi
né diavoli intorno.
È il tuo mondo, dove tu resti,
uomo tra gli uomini, in mezzo.

I pini di Matsushima

Quanto sono ammirevoli e singolari
le loro sembianze! Si sollevano in silenzio
sulle punte dei piedi con le braccia aperte,
e ubriachi d’aria, dopo l’imprevista liberazione,
vanno ad arrendersi allampanati al sole.
Il nostro preferito si sporge sulle rocce
come un pescatore di perle:
le radici non lo lasciano tuffarsi e lui nel vuoto
in avanti la pancia protende
e nello sforzo si trasforma in arco.

Siamo partiti in treno, poi abbiamo preso
il vapore. I ragazzi lanciavano
gamberetti ai gabbiani e al ritorno
ricordo queste parole: «Sono malati
i pini di Matsushima».

Poesie da Da una vena unica , Michele Colafato  (Il Labirinto, Roma, 2009)

«Tutte le straripanti bellezze/del mondo che hai attraversato»

l’incipit della poesia “Il cavaliere polacco” (che è  inizio della raccolta tutta) ci affida, fin da subito, lo straripare di bellezza dalla “vena unica” del mondo, non come (impossibile e nemmeno auspicabile) momento di contenimento (le bellezze  attraversate sono “straripanti”, epperciò incontenibili),  bensì di condivisione.

Il tramite a questo farsi comune, al di là e in grazia di una forma elegante , chiara e leggera, è il singolo, in primis nel rapporto con se stesso. La  poesia infatti istanzia tale medium già in-vestito del e nel suo attraversamento di “tutte le bellezze” (attraversamento che non può darsi in modo diretto, ma “in diagonale parafrasando”), in approdo ad un ulteriore in-vestimento di senso,  aperto “sull’ambio e lo sguardo alto”, che consenta, passo/dopo passo”   -adesso -,  di “vedere” il sé,  non come fine, ma appunto, secondo il delfico “Conosci te stesso”, come metodo- mezzo.

Nella seconda poesia questo metodo,  attuandosi, si ampia e contempla perciò il vedersi con l’altro: “È il tuo mondo, dove tu resti, /uomo tra gli uomini, in mezzo”;  questo partendo da uno sguardo di attesa sul mondo, che proprio e in grazia della tenerezza per sé e del riconoscimento all’alto/altro di bellezza  (qui nel topos classico della luna), può indugiare, una volta sceso,  “sulla terra” e  farlo in modo empatico, riconoscendosi non “in alto/né in basso”, senza “divi / o diavoli intorno”  (laddove “divi” e “diavoli” allo stesso tempo, e in modo ironico, evocano  i piani di paradiso/inferno, o quelli più banali dei divi  patinati e dei poveri diavoli terreni)

Ne “I pini di Matsushima”, il sé e l’altro (il noi) sono al mondo e all’incontro col quotidiano, compreso il male (emblematica la malattia dei “pini”), e tuttavia, al di là del senso di corruzione che inizia a farsi strada (compresa l’interrogazione sul futuro  evocata dai “ragazzi” dell’ultima strofa), l’incipit di nuovo richiama la singolarità della bellezza e il modo tutto umano di   tendere ad essa mirandola, come una freccia  partecipe della propria traiettoria.

Per questo la visione-tensione ingloba e si riconosce in ciò che viene ammirato : i pini che,  come noi, “Si sollevano in silenzio/sulle punte dei piedi con le braccia aperte,/e ubriachi d’aria, dopo l’imprevista liberazione,/vanno ad arrendersi allampanati al sole” , sono noi, ben oltre la similitudine;   così “Il nostro preferito” non può che essere quello che “si sporge sulle rocce /come un pescatore di perle:” nell’atto appunto di cogliere, dalla “vena unica” e profonda qualche piccola- grande bellezza, che nella tracimazione del fuori misura e dalla portata umana, è al più nascosta.

Da una vena unica   di Michele Colafato  è  stata presentata da Francesco Dalessandro per  “Poesia Condivisa” su Poesia2.0, rubrica alla quale rimando per la condivisione non solo di questa specifica proposta, (comprensiva, oltre a quella di Dalessandro, di altre belle letture) e delle  analoghe già inserite, ma di tutto il progetto che fa capo alla rubrica.

l’immagine: Rembrandt “Il cavaliere polacco” da wikipedia



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