Che bello i ragazzini che si chiamano a voce alta da una parte all’altra della strada, cose che poi cresci e non le fai più perché ci si deve dare un tono, non è buona educazione gridare così in pubblico e un po’ ci si imbarazza nel richiamare così l’attenzione. Mentre quando di anni ne hai pochi in buona sostanza nemmeno te ne sbatti, proprio non ti poni il problema. Vedi l’amico cinquanta o centro metri davanti a te che ha già attraversato la strada ma nel frattempo scatta il rosso e il traffico dell’ora di punta – tutti che vanno a scuola e al lavoro – e così sei costretto a stare fermo sulla punta dei piedi pronto a scattare alla prima possibilità di avere il passaggio pedonale sgombro che non arriva mai. Così stringi gli occhi come a mettere a fuoco meglio il destinatario del richiamo e gridi il suo nome a voce alta, mentre tutti ti guardano ma non vedi nessuno. Si forma un’onda sonora che travolge i passanti, le bici legate ai pali, i cani al guinzaglio e le cartacce già spinte dal vento, oltrepassi la barriera di auricolari e la musica che iniettano nella memoria dell’amico che si gira e si toglie le cuffie con un solo movimento. Da lì parte il feedback, il segnale di ritorno, un raggio lanciato dal sorriso dell’amicizia, la corsia preferenziale e sgombera che accelera al massimo la congiunzione tra palpiti, qualche secondo e i due sono vicini e da lì in poi la strada da fare sarà la stessa per entrambi. Dicevo che poi cresci e non chiami più gli amici ad alta voce da una parte all’altra della strada. Un po’ ti vergogni, un po’ perché il sentimento è stemperato e incontrarne uno per strada è davvero una coincidenza impossibile e poi di spalle sono tutti uguali, magari non è nemmeno lui.
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