Dacci oggi il nostro pane quotidiano… in tempo di crisi…

Creato il 13 maggio 2012 da Giornalismo2012 @Giornalismo2012

- Di Cinzia Aicha Rodolfi

Senza avere la pretesa o la volontà di fare teologia e senza voler mancare di rispetto agli atei, ci piacerebbe fare una considerazione dal punto di vista del credente che evidentemente vive questa vita terrena con fede nel suo Creatore.

Ebbene questa frase così tanto ripetuta durante la preghiera cristiana, rimane assolutamente identica per noi musulmani; anzi direi sia un concetto fondante della fede in Dio l’Altissimo, che nasce nella tradizione del primo profeta Adamo, accettando di buon grado la punizione del suo Creatore, quindi prosegue come messaggio di tutti gli altri profeti, in modalità differenti, fino all’ultimo inviato Mohammed, pace su tutti loro.

Analizzando le vicende e le situazioni contingenti, soprattutto conseguenze di questa drammatica, spietata attuale crisi economica, che porta a depressioni, nonché psicosi tragiche e compulsive, le quali a loro volta inducono a suicidi da evidente disperazione, oppure viceversa ad omicidi dettati appunto da pazzia e perdita di ogni ragione, ecco che si può fare una riflessione e dedurre quanto, colui che si dice credente, abbia dimenticato il precetto secondo il quale il nostro Signore è anche e soprattutto il nostro sostentatore.

Dunque ci darà il nostro pane quotidiano… come ci ha promesso.

Premesso che ogni sentimento, ogni tristezza ed ogni emozione dovrebbe essere rispettata e mai banalizzata o sminuita, si può sempre analizzare la motivazione di un atto gravissimo, esiziale come il suicidio, peggior epilogo di una vita seppur colma di ogni gioia. Suicidi che crescono oggi drammaticamente ed esponenzialmente, e quasi diventano lecitamente imitabili perché assurdamente giustificati.

Doverosa è una sana riflessione sia psicologica che etica e morale, per constatare quale mancanza soggettiva gravissima ci sia alla base di questo certamente preoccupante fenomeno, e quale ancor più grave sia la deficienza della società che vede esseri umani consumati nella loro tragedia personale e non si vuole assumere una parte di corresposabilità , quindi seppur si dica comunità di credenti, non educhi ad una importante solida consapevolezza che dovrebbe nutrire quotidianamente il senso della fede. Un senso che deve crescere da radici solide, da semi puri.

Paradossalmente non si può certo biasimare colui che non credendo in Dio Creatore, e nemmeno nella vita dopo la morte, non trovi la forza di sopportare questi problemi, e non abbia alcuno strumento per superare i disagi che lo vedono soccombere senza lavoro, disilluso e vinto da questa crudele malattia mondiale.

Che senso ha quindi criticare moralmente un uomo che non credendo nella vita dopo la morte si lascia completamente andare e desiste, cedendo alla violenza dei problemi di questa terrena, che per lui ora talmente cambiata, lo ha ridotto in povertà non solo, ma soprattutto gli ha portato via qualsiasi dignità come uomo che si trova a trascorrere giornate vuote, in mezzo a tanti come lui che poco ci manca tendano la mano chiedendo elemosina? Diremmo che il suo gesto sia una coerente conseguenza del suo non credere, o meglio del suo vivere solo per questa vita terrena, sicché troppi enormi problemi lo portano a preferire di “farla finita”. Quando non ci sia la speranza, quando non esista la luce di un futuro oltre questo triste e troppo difficile, risulta spesso impossibile trovare la forza di risalire o rialzarsi.

Ma quello che è davvero grave e preoccupante è invero il comportamento, diremmo assurdo ed illogico, di un essere umano che sostenga di avere fede in Dio l’Altissimo, il quale a parole firma con Lui la sua fiducia, ma quando è il momento di sostenerla con un comportamento coerente entra nel dubbio e soccombe e non si capacita di affidarsi serenamente.

Avere fiducia significa, in psicologia, “non difendersi” , ovvero ridurre altri sentimenti quali la paura e la diffidenza, ovvero pensare di essere attrezzati di tutto ciò che ci serve per affrontare qualsiasi situazione.

La fede, in teologia, è l’affidarsi incondizionatamente e senza alcun dubbio, e soprattutto proprio quando si ha bisogno di aiuto. Verosimilmente non ha alcun senso avere fiducia quando non c’è alcun bisogno di mettere alla prova tale sentimento.

Un esempio banale potrebbe essere come tra due amici l’amicizia sincera ha motivo di esistere quando ci sia la necessità che si possa rispondere alla richiesta di aiuto.
Ecco che il rapporto con il Creatore è anche, e non solo, un cercarLo per chiederGli il pane quotidiano che ci ha promesso, e se questo pane sembra non arrivare, non smettere di chiedere appunto con fiducia, quindi non cambiare idea e cancellare il patto di totale affidamento.

Nel Corano Allah ci promette che ci metterà alla prova …ma ci sarà enorme ricompensa ci crediamo? Quanto ci crediamo? Quanto siamo disposti a crederci?

Dunque credevamo che ci avrebbe aiutato, quando tutto andava bene eravamo saldi nel patto di fede; poi nel momento del nostro esame cadiamo nella disillusione, ci lamentiamo con altri esseri umani, che evidentemente nulla possono fare per noi, ci allontaniamo dal patto, e non chiediamo più convinti come prima.
Come possiamo pretendere di avere un aiuto se noi per primi, disillusi e depressi, non speriamo più nel Suo aiuto?


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