I.Thomas Ekman
è l’analisi della vita miserabile di quello che viene presentato come un uomo qualunque: quarantenne, con un buon lavoro, finanze solide, una famiglia apparentemente normale. ma è anche un’anabasi: una spedizione verso l’inferno, quello vero. quello della morte. una morte che Thomas cerca goffamente e sommessamente: la meno peggiore tra tutte le alternative, quella che richiede meno sforzo e impegno, quella (illusoriamente) più semplice.
II. le persone
(II.a: il figlio)Thomas è un padre detestabile: incapace di amare (ma non di essere amato), vuole solo farsi odiare. architetta macabri scherzi per allontanare il figlio Emil, spingerlo il più lontano possibile da sé stesso, allontanando, in questo modo, l’annessa mole di responsabilità che la paternità comporta. semplicemente, “non ha la forza” per fare il padre. e per vivere, aggiungerei.
(II.b: la moglie)
risulta il più normale, fra i suoi rapporti. si tratta di nostalgia, piccole incomprensioni, rievocazioni sciape di momenti lontani- quasi di altre persone-, canzoni che non suonano più allo stesso modo, tensioni che si aggrovigliano senza lasciar respirare, un senso di soffocamento che ha reso Thomas prosciugato: asciutto, inerme, apatico, tragicamente deluso, ineluttabilmente condannato.
(II.c: la sorella)
ma quello che a Thomas manca è l’umanità. le cose non hanno più sapore per lui, niente ha più senso, nulla vale più la pena. gli sembra di vivere la vita di un altro uomo, è estraneo a sé stesso: in una parola, è alienato. persino i ricordi (così vividi nella sorella) degli illeciti rapporti incestuosi della loro infanzia e adolescenza (e del presente?), non portano niente più che a una scrollata di spalle.
(II.d: l’amico)
è un sentimento di tragedia che, però, non aleggia solo sul capo del protagonista, ma avvolge anche le persone che attorno a lui gravitano. così anche l’amico (per inciso, l’amante della moglie) si chiede se sia meglio farla finita, se l’unico modo per lasciarsi alle spalle la routine, le preoccupazioni, le responsabilità sia morire. la risposta, banalmente, è che manca il coraggio per farlo.
(II.e: la madre)il grande affresco della vita di Thomas, pezzo dopo pezzo, perde colore e si sgretola: comprendiamo la sua infelicità, la sua condizione di miserabile, arido dentro, la personificazione del vuoto pneumatico: nessuna lacrima, nessuna risata: solo sofferenza. con la madre si mette in scena l’anamnesi: forse la sua freddezza, il suo distacco- oltre che per i tanti motivi di cui sopra- hanno origine nella sostanziale mancanza di calore nel rapporto materno?
III.nel blu profondo
il ciclo si chiude nella canna di una Walther GSP: un uomo finito in partenza, depredato della sua umanità, incapace di trovare soluzioni meno ovvie alla sua miseria, afasico e, in dei conti, già morto dentro. fosse stato un manichino a vivere la sua vita, nessuno si sarebbe accorto della differenza. nemmeno Thomas.
titolo originale: Dag och Nattun film di Simon Staho2004