Dai funghi dell’Antartide alla vita su Marte

Creato il 29 gennaio 2016 da Media Inaf

La Terra non è poi così diversa da Marte. Adesso starete credendo di leggere castronerie. Certo, conosciamo tutti (e bene) le differenze tra il pianeta su cui viviamo (cosa da non sottovalutare) e il Pianeta rosso, popolato – sì – ma da rover, robottini ed esperimenti vari che gli orbitano attorno studiandone ogni piccolo dettaglio in cerca della vita. Proprio il concetto di “vita” (oltre a evidenti caratteristiche atmosferiche e topografiche) sembrerebbe allontanare i due pianeti, perché come sappiamo finora su Marte non è stato visto crescere, camminare o strisciare nulla. Molti biologi e astrobiologi credono, però, che alcune zone estreme del nostro pianeta possono essere equivalenti a Marte, come le Valli secche McMurdo in Antartide – una regione tra le più ostili, aride e inospitali del mondo. Talmente inospitale da consentire la sopravvivenza solo ai microrganismi criptoendolitici, trovati nelle fessure delle rocce, e ai licheni.

Nel 2008 un team di ricercatori europei ha raccolto campioni di due specie di muffe, Cryomyces antarcticusCryomyces minteri, per poi inviarli sulla Stazione spaziale internazionale (ISS), dove una metà dei campioni è stata esposta a condizioni estreme, tipo quelle presenti su Marte, all’esterno del modulo-laboratorio Columbus sulla piattaforma dell’ESA Expose-E (Exposing Specimens of Organic and Biological Materials to Open Space). Per condizioni estreme intendiamo senza schermi solari (un essere umano, o qualsiasi altro essere vivente, morirebbe dopo una manciata di minuti). I campioni sono stati posizionati all’interno di piccole celle di coltura di 1,4 centimetri di diametro e sono tornati sulla Terra 18 mesi dopo, il 12 settembre del 2009.

Silvano Onofri, ordinario di botanica all’Unitus e primo autore della ricerca, spiega a Media INAF che l’esperimento si chiama LIFE (Lichens and Fungi Experiment) «ed è praticamente concluso, anche se stiamo tentando alcune ulteriori analisi genomiche. L’esperimento è stato condotto su microfunghi criptoendolitici dell’Antartide (tra i microrganismi esistenti più resistenti al freddo, al diseccamento e alle radiazioni) e su licheni di alta montagna, dopo aver verificato la loro resistenza in esperimenti di simulazione sulla Terra. La piattaforma EXPOSE-E ospitava anche esperimenti su batteri, come Bacillus subtilis». Onofri parla nello specifico della permanenza dei campioni nello spazio: «Premesso che le condizioni spaziali non sono riproducibili sulla Terra, se non separatamente e parzialmente, gli stress sono il disseccamento completo (10-7 pascal sulla ISS), cicli di caldo-freddo, radiazioni cosmiche e ultravioletto profondo. Fino a pochi anni fa i biologi ritenevano che tali condizioni fossero assolutamente letali».

Crediti: S. Onofri et al.

Con l’esperimento «abbiamo studiato diverse comunità di organismi litici», dice Rosa de la Torre Noetzel, ricercatrice presso il National Institute of Aerospace Technology (INTA) in Spagna, nonché coautrice dello studio pubblicato recentemente pubblicato su Astrobiology. «Il risultato più rilevante è che oltre il 60% dei campioni endolitici è rimasto intatto dopo l’esposizione alle condizioni marziane, o meglio la stabilità del loro DNA cellulare era ancora alta».

I ricercatori hanno anche prelevato campioni di due specie di licheni, Rhizocarpon geographicumXanthoria elegans, che possono sopravvivere al freddo delle alte montagne delle Alpi austriache e della Sierra de Gredos in Spagna. «Stiamo continuando esperimenti sui microfunghi delle rocce (criptoendolitici) insieme ai colleghi spagnoli e tedeschi, che studiano i licheni. Attualmente l’esperimento BIOMEX (Biology and Mars Experiment, P.I. Jean-Pierre De Vera, DLR) è esposto sulla ISS e tornerà sulla Terra a maggio 2016. Lo scopo principale», spiega Onofri, «è analizzare quali sostanze si producono, e come si modificano esposte alle condizioni spaziali, nell’interazione tra rocce e microrganismi delle rocce, per realizzare modelli di comparazione per le analisi delle rocce di ExoMars 2018 (cioè la seconda parte della missione, ndr), alla ricerca di biomarker».

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Fonte: Media INAF | Scritto da Eleonora Ferroni