DAISY DIAMOND(Dedicato a Robbè)
Nel 2007 escì un film danese dell’esordiente Simon Staho, con protagonista Noomi Rapace. La Rapace diventò poi celebre per la trilogia svedese di Millenium, di cui non mi frega tanto debbo dire la verità, poiché del primo capitolo ho preferito nettamente la versione americana. Questo solo per dire che la Rapace è un’attrice straordinaria e che in questo Daisy Diamond la sua performance è sbalorditiva ed il film stesso è di una potenza violentissima. Un film che ha avuto da noi una distribuzione, manco a dirlo, inesistente e questo scandaloso atteggiamento idiota verso opere complesse, indigeste e spesso semplicemente bellissime, continua a farmi incazzare come una pantera. Ma perché io, spettatrice che ama il cinema nelle sue varie sfaccettature, devo scoprire dell’esistenza di questo gioiello grazie ad un amico che ci è inciampato per caso?
Ma ora veniamo al film. Anna (Noomi Rapace) è una ragazza madre che, dalla Svezia, si trasferisce a Copenhagen per tentare la carriera di attrice. Qui inciampa in una serie di rifiuti finché, stremata dalle responsabilità verso la bambina, che vede come un ostacolo alla propria realizzazione personale, esplode e la uccide. Questo gesto innesca un processo che la condurrà progressivamente verso l’autodistruzione.
La pellicola di Staho è quanto di più doloroso io abbia visto ultimamente. Un secco pugno nello stomaco, non ha alcuna pietà per lo spettatore e ciò che ci racconta rasenta l’intollerabile. Una madre che uccide la figlia è già di per sé un argomento ostico e l’intenzione del regista è esattamente quella di suscitare un malessere infinito. Non c’è soluzione, non c’è via di scampo, non c’è spazio per arenarsi e ritrovare fiato. Si è costretti a nuotare incessantemente nel dolore di Anna, insieme ad Anna. Guardando il film non si può non fare un collegamento con Persona di Bergman, il quale viene citato più volte in certe scene. E la congiunzione tra le due opere risiede nella frase che Alma dice ad Elisabeth nel capolavoro di Bergman: “Io provo una grande ammirazione per gli artisti, credo che l’arte di recitare abbia enorme importanza nella vita, specialmente per chi non sa superare da solo le sue difficoltà”.
Ed è esattamente quello che Anna fa. Insiste nel suo obiettivo di diventare attrice esorcizzando in quel modo l’orrore che ristagna dentro di lei, come una sanguisuga che le risucchia la vita, privandola della forza necessaria per affrontare i suoi problemi. Eppure lei ama la sua bambina, ama Daisy. Lo si vede chiaramente mentre conversa con lei, sfinita, lo si vede perfino quando la odia. L’innato senso materno (una delle più grandi fandonie perpetuata nei secoli) non le appartiene e il senso di colpa per non essere quello che la mentalità sociale pretende come cosa ovvia, la annienta. Rendendola una vittima, prima di tutto, di una società distante e indifferente.
Lo stile del regista danese è asettico, freddo, fatto di piani sequenza che terminano sui volti, soprattutto su quello della Rapace, disturbandoci dal principio utilizzando il pianto di Daisy come tortura per catapultarci violentemente nella disperazione di Anna. Noi capiamo Anna, perfino nel momento del gesto più aberrante dell’annegamento di Daisy. Questo senso di comprensione naturale ci destabilizza, ci dimostra quanto siamo ipocriti, abituati a concepire solo il bianco o il nero, il bene o il male, la verità o la menzogna. Ignoriamo inconsapevolmente il conflitto insito in noi, il doppio, la maschera indossata che talvolta precipita e con lei, noi. Come raccontava Bergman in Persona, lo stesso ci racconta Staho. L’analisi del panorama umano è agghiacciante, lo è addirittura nella scena in cui la vicina di casa le bussa alla porta vendendole a poco prezzo la sua carrozzina, ignara del fatto che Anna la sua bambina non l’aveva più. Il paradosso della generosità umana che si manifesta proprio quando non è più necessaria. Anzi, sembra quasi volerci ricordare quanto siamo sbagliati e vigliacchi. E fuori tempo massimo. Sempre.Recuperate Daisy Diamond (Prodotto dalla Zentropa di Von Treier), se ancora non avete avuto modo di vederlo. Rapace immensa, premiata se non altro al Bodil Awards e al Robert Festival di Copenhagen, dimostra di essere un’attrice in grado di comunicare brutalmente. La sua espressività emotiva, nonché corporea (la ragazza è coraggiosa), danno alla luce un’interpretazione da Oscar. Provare per credere. Ma sappiate che sarà doloroso.
Silly