Avete pagato il canone Rai?
Si, no, o non ve ne può fregare di meno?
Recita Wikipedia: Il canone televisivo o canone RAI è un’imposta sulla detenzione di apparecchi atti o adattabili alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano, indipendente dalla reale fruizione o dalla volontà di fruire dei programmi trasmessi dai vari operatori televisivi.
Atti o adattabili? E che vuol dire?
Indipendente dalla volontà? Ovvero?
Siccome oltre alla matematica, anche l’italiano ormai sembra non essere un’opinione (anche se per molti rimane un’avventura come cantava Battisti) quello che leggiamo nel testo qui di sopra verrebbe a dire che il canone RAI è un tributo che devono pagare coloro i quali posseggono dispositivi elettronici adatti alla ricezione di segnale video, siano essi veri e propri televisori o qualsiasi altro aggeggio in grado di ricevere e visualizzare come smartphone, tablet e pc. Il tributo si applica anche se il nostro dispositivo non è buono per ricevere i segnali TV e se, per una strana congiunzione astrale, esso si connette di sua spontanea volontà ai canali RAI per vedersi la prova del cuoco.
In pratica il canone s’ha da pagà, un c’è verso!
Ben fatto, mi direte voi, questo sta scritto su Wikipedia e potrebbe essere falso.
Esiste una legge, vi dico io, datata 1938 (!!!!) che impone una tassa a tutti quei cittadini per il solo possesso di un dispositivo in grado di ricevere segnali Tv sia esso utilizzato oppure no. Questo testo di legge è proprio il cuore del canone RAI.
Allora chiamiamo le cose con il loro nome: il canone è un balzello, una decima obbligatoria che ci viene imposta per il privilegio, destinato ai soli italiani, di godere di visioni del genere