Siamo nella Svizzera del 1741 e i suoni per il piccolo protagonista sono una porta verso il mondo, un accesso privilegiato a ciò che rimane celato a gran parte dell’universo. Il suo modo di comunicare con gli altri non è la parola, ma l’ascolto continuo, ossessivo, bellissimo. All’improvviso però Moses trasporta quell’ascolto verso l’esterno e lo trasforma in un canto soprannaturale, talmente bello da far pensare ad un angelo. Questa sua dote magica lo renderà schiavo per sempre e diventerà la peggiore delle maledizioni per lui. Il maestro del coro dell’abbazia di San Gallo ode infatti la sua voce per caso e ne rimane incantato perché è diversa da tutte quelle che nella sua vita aveva ascoltato. Ossessionato da questa melodia celestiale, il maestro pone una sorta di maledizione sul giovane e con un ardito escamotage rende la voce di Moses inalterabile nel tempo, affinché né il passare dei giorni, né le malattie o le disgrazie possano variare quel suono magnifico. Gli anni passano e il cantante diventa famoso in tutto il mondo: ovunque passi, la sua voce lascia il segno in chi la ascolta. In fondo Moses si può dichiarare felice perché ama cantare e il successo e la ricchezza accompagnano le sue giornate. Tutto sembra andare alla perfezione fino al giorno in cui il protagonista non incontra l’amore che lo sconvolge e lo travolge e a cui non può abbandonarsi proprio a causa della sua voce e di quella condanna che si porta dietro fin da bambino.
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