Dal car pooling al piedibus, esempi di un’altra civiltà

Creato il 13 gennaio 2012 da Abattoir

venerdì 13 gennaio 2012 di Michele Scarpinato

Una delle piaghe di Palermo è il traffico, lo racconta anche Benigni in Johnny Stecchino; chiunque venga dal Nord, effettivamente, rimane sconvolto per il nostro traffico, ma non tanto per il numero di auto in circolazione, quanto per il modo disordinato con cui la gente guida e parcheggia, rendendo impraticabile la circolazione.
Negli ultimi mesi, però il traffico di città come Roma e Milano ha superato la fama di quello siciliano, portando i relativi sindaci a cercare misure aggressive per contrastarlo.
Una città piena di auto è una città rumorosa, che inquina e degrada consumando il territorio. Quanti bei monumenti non possiamo fotografare senza una macchina o un motorino che ci passi davanti? E quanto smog rimane incastrato trai ghirigori di marmo delle sculture di degni personaggi?
La pedonalizzazione di alcune aree urbane può essere utile a tamponare il problema, ma finché non verranno adottate delle vere misure di mobilità sostenibile che rivoluzionino gli spostamenti quotidiani, rimarrà il traffico che renderà i nostri figli asmatici e noi più nervosi a causa del rumore e dei quotidiani imbottigliamenti.

Ma quali sono queste pratiche rivoluzionare di mobilità? L’espropriazione dei veicoli ai cittadini? Il telelavoro in modo da non doversi spostare? Certo, la digitalizzazione di alcune pratiche burocratiche snellirebbe molto sia il traffico che il nostro tempo perso a fare infinite file per consegnare un documento, ma ci sono altre necessità.

Una pratica che mette al centro l’auto come soluzione del problema del traffico è il car pooling: ovvero usare l’auto in più persone. Molte volte, vediamo che per strada c’è una persona per ogni auto e pensiamo che forse non sarebbe necessario, forse le persone che lavorano nella stessa azienda potrebbero andare al lavoro con le persone che abitano nella stessa zona con una sola auto. Si deve fare benzina in una sola auto, si deve cercare/pagare parcheggio per una sola auto e si mette in circolazione una sola auto. In questo modo, risparmia l’ambiente e anche il portafogli.
Un’altra soluzione, forse un po’ più famosa, che vede l’auto come soluzione, è il car sharing. L’auto è “condivisa” in un altro senso rispetto il precedente, infatti mentre prima l’auto era pur sempre un mezzo privato messo a disposizione dei colleghi, amici e parenti per fare un percorso comune, in questo caso, l’auto è presa in affitto per il tempo che serve.
Si dovrebbe, così, scoraggiare l’acquisto di un’auto privata per spostamenti sporadici che potrebbero consolidarsi con il possesso del mezzo.

Importante è anche di adottare misure che mettano le strade in sicurezza per chi decide di muoversi in bici o a piedi. Infatti, chi parcheggia fuori dal centro storico, o addirittura ai margini della città per prendere un mezzo pubblico, poi dovrà spostarsi a piedi e se non sarà sicuro a causa di altre auto, ritornerà in auto e vorrà parcheggiare di nuovo davanti il negozio in cui voleva recarsi.
Certo, è un po’ un cane che si morde la coda, perché se tutti adottassimo un comportamento virtuoso le strade diverrebbero già sicure senza ulteriori interventi, quindi la scusa che nessuno va in bici perché le strade non sono sicure si fonda su un falso problema. Personalmente, credo che le piste ciclabili siano un incentivo all’uso della bici, ma non un mezzo per cambiare mentalità. È necessario educare l’automobilista al rispetto dei veicoli più lenti anziché relegare quest’ultimi su una striscia di strada che verrà occupata con altrettanta violenza da auto e moto.

Un mezzo efficace che può incentivare l’uso della bicicletta è il bike sharing, che funziona con lo stesso principio descritto dal bike sharing. Si noleggia la bici da una postazione e la si riparcheggia in un’altra quando non serve più. Lo scopo qui è però opposto da quello del car sharing, perché, mentre il primo ti scoraggia ad acquistare un mezzo privato, il bike sharing incentiva l’uso dell’acquisto della bicicletta privata perché educa al pedalare.
Il bike sharing più efficace a mio avviso è il bike sharing con biciclette a pedalata assistita che aiuta chi non è abituato ad andare in bici a percorrere il suo itinerario senza problemi.
Piccola nota al margine: impariamo a usare anche le parole giuste, chi va ogni giorno in bici a scuola o a lavorare non è una persona “allenata”, termine che si usa in ambito più sportivo, ma semplicemente “abituata,” come come chi è abituato a prendere l’auto (e non allenato). Ci tengo a questa precisazione perché finché si dirà che siamo allenati ad andare in bici, la faremo sembrare una cosa per pochi.

Altro modo di incentivare l’uso della bicicletta, specialmente tra i più piccoli è il Bicibus, non un autobus per le biciclette ma un sistema di spostamento collettivo su mezzo privato. L’esempio classico è quello in cui ha maggiore applicazione, ovvero accompagnare i bambini a scuola. Quanto traffico davanti le scuole all’ora di ingresso e di uscita? Il bicibus ovvia a questo problema in questo modo: un genitore che ha maggiore disponibilità (o a turno più genitori) dà appuntamento nella piazza di quartiere ai ragazzini in bicicletta che frequentano la stessa scuola di suo figlio e li guida fin lì. Il ragazzino è sempre sotto la supervisione di un adulto durante il percorso e si responsabilizza come individuo e come appartenente a un gruppo, oltre che imparare che muoversi in bicicletta non è cosa solo della domenica pomeriggio.

Lo stesso principio ha il piedibus, solo che i ragazzini possono anche essere più piccoli perché andando a piedi non si richiedono grosse abilità. Questo sistema permette ai genitori che lavorano e che hanno tempi stretti di affidare a una persona fidata il loro figlio affinché lo accompagni a scuola, senza dover fare le corse per accompagnarlo a scuola in tempo.

Anche educare a camminare a piedi è importante, perché questa forma di mobilità potrebbe praticamente scomparire per chi non si muove con i mezzi pubblici, infatti con l’apertura dei grandi centri commerciali in periferia e la conseguente chiusura dei negozi sotto casa, saremo costretti a fare chilometri per fare la spesa e quindi giù di nuovo nel traffico.
La micro-economia di quartiere invece favorirebbe a vivere in un ambiente più sano, senza la necessità di prendere l’auto e instaurando un rapporto personale, giorno dopo giorno, con le persone che popolano il mondo intorno a noi.

Per concludere, alcune pratiche utili che possono cambiare realmente il problema del traffico sono le infrastrutture di mobilità pubblica, dagli autobus (a metano o elettrici!) con corsia preferenziale sempre libera alle metropolitane, che diano servizio a tutta la città e con capolinea vicino i parcheggi dove lasciare l’auto.

Se si chiude il centro alle auto, queste auto confluiranno da qualche altra parte; bisogna dare delle alternative, che non siano ideali ma fattibili, solo allora potremo fruire della città come spazio in cui vivere la nostra quotidianità e non come un insieme di punti da raggiungere.

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