Il termine copyleft, invece, sta ad indicare un innovativo modello di applicazione dei diritti d’autore, basato su un sistema di licenze attraverso le quali il detentore originario dei diritti sull’opera indica al pubblico che essa può essere utilizzata, diffusa e spesso anche modificata liberamente, nel rispetto però di alcune condizioni essenziali. Questo assunto non si traduce affatto, come molti pensano, in un selvaggio e autorizzato copia e incolla dei propri versi da parte di malintenzionati. Le licenze creative, infatti, contribuiscono – senza metterla in pericolo – la diffusione e la conoscenza delle opere secondo modalità che è l’autore stesso a scegliere.
In America già da diverso tempo il vecchio “All rights reserved” (tutti i diritti riservati) è stato quasi del tutto soppiantato dal più attuale “Some rights reserved” (alcuni diritti riservati) e proprio per questo motivo, per tutelare legalmente il crescente desiderio di condivisione, una società no-profit che ha come portavoce Lawrence Lessing ha creato con l’aiuto di giuristi una serie di licenze denominate Creative Commons (CC), aventi valore legale in tutti i paesi compreso il nostro.
L’aspetto più innovativo che le riguarda è il fatto che ne esistono diverse, ognuna delle quali concede differenti libertà d’uso delle opere in base alle esigenze dell’autore; appare evidente quindi come esse siano in netta contrapposizione con le standardizzate licenze concesse fino ad ora in maniera esclusivistica, dalla SIAE. Si può scegliere fra 6 differenti tipi di licenze, consultabili in questo sito: www.creativecommons.it
Non c’è bisogno di alcuna iscrizione o registrazione per ottenerle, né ci sono importi da pagare. Tutto è assolutamente gratuito e basta apporre sulla propria opera il logo corrispondente alla licenza scelta. Ricordiamo, inoltre, che è possibile avvalersi di una licenza Creative Commons anche per le opere che si desidera vendere.