Dal diario di prigionia del gatto Semolino

Creato il 12 gennaio 2015 da Povna @povna

12 gennaio 2015 – ore 0.30

Caro diario,
ti scrivo acciambellato sul mio letto, vicino a Thelma (che si sta addormentando), mentre faccio la pasta sulla mia coperta, nella nostra bella stanza, circondato da tutte le nostre belle cose. Ma ancora non ci posso credere. Se penso che, fino a tre ore fa, pensavo che non avrei più rivisto niente – Thelma, gli amici, la nostra casa, il mio tubo caldo preferito sul pavimento di cucina, persino il cane Gigi. Ma tu ti chiederai che cosa sia successo. E allora è bene cominciare da principio, quattro lunghi giorni fa.

8 gennaio 2015 – ore 23.00

Caro diario,
è una sera strana, questa, e non bella. Da circa 24 ore non vedo Thelma e questa notte devo dormire in uno strano appartamento, al quarto piano di un palazzo che, a occhio, sarà distante, da casa, circa 400 metri in linea d’aria. Mi hanno dato un cuscino e mi hanno anche – gli umani che ci sono qui – augurato “buona notte”: ma come può essere “buona” la notte che si passa dove non si vorrebbe stare? Un po’ è colpa mia, devi saperlo. Ieri sera, quando sono andato a fare la solita giratina notturna, mentre Thelma si preparava per la nanna, mi sono attardato un po’ troppo. La luce nell’aria era bellissima, le stelle tante, e dal cortile dove questo appartamento affaccia venivano tanti profumini buoni. Così ho deciso di esplorarli. La porta del palazzo era aperta, e ho deciso (ah, stupido Semolino) di salire per le scale. E’ lì che ho incontrato gli umani che ora mi trattengono qui, contro la mia voglia.
“Mamma, guarda, un gattino!” – ha urlato una voce mentre svoltavo al piano quarto.
“Altro che piccolo, Deborah, questo è un micio bello grosso. Attenta, non toccarlo, ti potrebbe fare male”.
Mi son sentito punto sul vivo, e sono stato fesso. Per far vedere che sono innocuo, e, anzi, anche affettuoso e intelligente, mi sono strusciato tutto sulle gambe, e ho iniziato a fare le fusa lì nel mezzo, sulle scale.
“Che carino, mamma, prendiamolo”.
“Ma Deborah, non so. Va beh, diamogli intanto qualche avanzo”.
Ed è così che hanno aperto la porta, e sono entrato in casa.
Stupido, Semolino, stupido, stupido, stupido. Da allora sono chiuso qui, non mi hanno più fatto uscire. All’inizio Pantofola (la mamma di Deborah – la chiamo così perché è sempre in ciabatte) sembrava perplessa. Ma poi ha ceduto, e ha deciso di permettere alla figlia di tenermi come gatto.
“Tenermi? Come gatto?” – ho protestato io – “io sono già il gatto di qualcuno, di Thelma e della ‘povna”.
Ma hanno fatto finta di ascoltarmi, senza ascoltare. Mi hanno dato un nome, Fufi (???). Mi hanno dato un cuscino, che deve stare in anticamera, perché “se vado troppo vicino alla bambina”, le “rubo il respiro, specie di notte”. Mi hanno dato anche cibo e acqua, ma io sono triste. Domani voglio stare all’erta. Ci deve essere un modo di scappare.

9 gennaio 2015 – ore 23.30
Caro diario,
oggi ho conosciuto meglio il terzo abitante della casa, Tesoro (lo chiama sempre così Mamma Pantofola), il padre di Deborah.
“Perché mai continuate a tenere questo gatto” – ha detto a cena – “non vedete che è domestico?”.
“Ma se non ha il collare” – ha detto Mamma Pantofola.
“Collare o non collare, quel gatto è di qualcuno, e lo starà cercando” – ha ribattuto Tesoro. (E io ho fatto molti miagolii per confermarlo – Thelma sarà agitatissima).
Ma prima che Mamma Pantofola riuscisse a pensare di rispondere, è esploso l’urlo di Deborah: “Fuuu – fiii è mio, cattivo, non me lo puoi togliere!”.
“Ecco, vedi, l’hai fatta piangere” – ha detto Mamma Pantofola. E della possibilità che io potessi andarmene non si è potuto più parlare.
Questa mattina, in realtà, approfittando di uno spiraglio aperto, avevo già provato da solo a fuggire, ovviamente. Sono arrivato, di corsa, fino in basso. Ma il portone era chiuso, Mamma Pantofola mi ha raggiunto. Da allora, quando lei deve uscire (da sola o con Deborah) prima mi chiude in una stanza piena di armadi, e solo dopo apre la porta. Ho pensato di calarmi dal balcone, ovviamente, ma il piano è alto, temo che potrei farmi molto male.

10 gennaio 2015 – ore 20.40
Caro diario,
niente da segnalare, oggi. Continua l’incubo e sono guardato a vista. Ho cominciato a attuare uno sciopero della fame, ma non sembra servire a niente (se non che mi sento un po’ più debole). E dire che Mamma Pantofola, questa sera a cena, ha detto a Tesoro che le è sembrato di vedere dal panettiere un biglietto con la mia foto, che denuncia la mia scomparsa.
“Hai visto?” – ha detto Tesoro.
“Hai visto, cosa?” – gli ha risposto lei – “vuol dire che staremo attenti. Di chiunque fosse Fufi, prima, ammesso che un padrone ci fosse, adesso è nostro. Se ci teneva tanto, non doveva lasciarlo andare”.
Deborah ha sorriso; Tesoro invece ha fatto una smorfia, l’ho visto bene, ma non ha voce in capitolo. Io, intanto, sto malissimo. Questa notte ho sognato il pomeriggio del 1 dell’anno, quello dei pisolini insieme alla ‘povna e Thelma – da tanta nostalgia che avevo mi veniva da vomitare.

11 gennaio 2015 – ore 22.15

Caro diario,
oggi tra Mamma Pantofola e Tesoro c’è stata una discussione, sempre che mi riguarda. Tesoro ha passato tutta la mattina al computer, poi all’improvviso si è alzato, ha raggiunto Mamma Pantofola, e ha cominciato a sbracciarsi:
“Il gatto è ovunque, su tutti i social network, foto, descrizione, nome suo e della padrona: lo capisci che è una follia, questa?”.
“Non ci credo” – ha detto lei.
“Guarda” – ha fatto Tesoro. Lei ha aperto il computer, e ha cambiato espressione, per la prima volta.
“Non è possibile”.
“Te l’avevo detto” – ha fatto Tesoro.
“Proverò a parlare a Deborah”.
E così ha fatto, all’ora di pranzo.
“Amore mio, sai, volevo dirti… Il papà ha visto che su internet ci sono le foto di Fufi, sai, c’è una padrona, effettivamente. Pare che lo stia cercando”.
“Non pare – è dappertutto”.
(“Non esagerare, che la agiti”). “Volevo dirti, Deborah, pulcino: e se provassimo a telefonare alla padrona, che ne pensi? Dopo tutto, sono sicura, anche lei a Fufi vuole bene”.
(“Dopo tutto”? “Anche lei”? – Ma come si permette, questa…). Ma di nuovo un urlo fortissimo mi ha trapanato gli orecchi.
“Nooo, mamma, no, ti prego, non puoi farlo”.
“Deborah, stai tranquilla, no, non piangere”. (“Tesoro, lo vedi anche tu, non possiamo farglielo”).
E per Tesoro non c’è stato altro da fare.
Il pomeriggio è stato lentissimo. Immagino che la mia vita d’ora in poi sarà così: ansia, nostalgia e tristezza. Provo a cercare di lavarmi e curarmi, come un bravo gatto, ma la tentazione di lasciarsi andare è molto forte…
…ecco che Deborah e Mamma Pantofola se ne vanno a letto.
“Ti raggiungo subito” – ha detto Tesoro.
E ora sta venendo verso di me, aiuto, non capisco…

12 gennaio 2015 – ore 0.50
Ed è così che è andata a finire, caro diario, non ci avrei più scommesso. Tesoro è venuto verso di me:
“Io so che là fuori c’è qualcuno che ti cerca, gatto Semolino (è il tuo nome, vero?); e tu devi tornare da lei, se possibile. Fa’ silenzio”.
Mi ha preso per le ascelle e mi ha ficcato in ascensore, molto goffo. Lui continuava a fare “sssh, sssh” e siamo scesi al piano terra. Ha aperto la porta del cortile.
“Ecco, Semolino, di più non posso fare. Dirò che mi sei scappato per errore. Vai, corri”.
Ero libero. L’aria fresca mi faceva sentire ubriaco, ma ho iniziato a correre. Poi, un rumore. Mi sono fermato, temevo mi inseguissero. Sono passati dieci, quindici minuti, nascosto sotto quelle piante, ma sembrava tutto tranquillo. Ci ho messo quasi un’ora, per fare quei pochi metri: il cuore mi tremava a ogni passo. Ma alla fine, infine, la mia finestra! Potevo vedere, dentro, l’ombra cara di Thelma, la voce del televisore, gli odori della sua cucina prelibata, tutto quanto.
Ho miagolato, prima piano, poi appena più forte. Ma lei mi ha sentito subito…
Ho iniziato a fare le fusa mentre ancora le saltavo in braccio, appena ha aperto la finestra: finalmente, la mia casa.


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