Articolo di Valetta
Gli ingredienti ci sono tutti: una protagonista femminile che gli americani chiamano apprppriatamente kick ass, indipendente e agguerrita, un immaginario futuro post-bellico spietato, tanta azione, e una qualche velata critica sociale. Nonostante le imperfezioni non manchino, la formula ha funzionato ancora una volta e l'intera trilogia all'inizio del 2014 è arrivata a vendere 10 milioni di copie in tutto il mondo, almeno secondo le cifre divulgate dalla casa editrice Harper Collins.
La fiducia in questo tipo di prodotto è tale che i diritti per farne un film erano già stati acquisiti da Summit Entertainment nel 2011, pochi mesi dopo la pubblicazione del primo romanzo della serie, anche se le riprese non sono iniziate fino al 2013.
Purtroppo, a differenza di quanto avvenuto per la trasposizione di Hunger Games, le potenzialità del romanzo della Roth sono rimaste tutte sulla carta.
Lo si poteva immaginare già dalle prime dichiarazioni dello sceneggiatore Evan Daugherty: "Sono ossessionato dalla durezza del film ma un'eguale importanza è data alla storia d'amore fra Tris e Quattro. E' inestricabilmente legata alla maturazione della personalità di Tris. Ci saranno alchimia e attrazione sessuale in abbondanza".
Che le cose non sarebbero andate per il verso giusto lo si poteva sospettare anche dalla scelta della protagonista, Shailene Woodley, finora celebre soprattutto per il suo ruolo nel telefilm-soap opera La vita segreta di una teenager americana che non sembra nemmeno essersi accorta di aver cambiato set tanto è intenta a scambiarsi sguardi languidi con il co-protagonista Theo James. Jennifer Lawrence è un'altra cosa.
Al di là delle capacità recitative non esaltanti ma nella media, è prima di tutto l'aspetto fisico dell'attrice a essere inadatto.
In Divergent viene ripetuto fino alla nausea che Tris è minuta, ossuta, piattina, mignherlina e dall'aspetto pre-adolescenziale, caratteristica fondamentale che condiziona il suo intero addestramento come Intrepida e la rende facile preda di violenze da parte dei compagni più aggressivi oltre che oggetto di derisione e disprezzo da parte degli adulti. Shailene Woodley, con le sue guance paffute, il fisico pieno e l'altezza superiore alla media (sovrasta addirittura l'amica del cuore Christina, interpretata dalla figlia d'arte Zoe Kravitz) sinceramente è quanto di più lontano ci possa essere dallo scricciolo svantaggiato descritto nel romanzo. Sia chiaro che non voglio esaltare nessun ideale di magrezza anoressica o insinuare che l'attrice sia sovrappeso, semplicemente la fisicità era una caratteristica essenziale del personaggio principale del romanzo della Roth che qui va totalmente perso.
Fatto salvo per qualche "rigida" gridato dal bulletto del gruppo e un paio di combattimenti finiti male, della costante pressione psicologica, delle numerose mortificazioni e dei pesanti attacchi subiti dalla protagonista in Divergent non vi è praticamente traccia (la regia praticamente censura anche il sangue e i lividi), il che priva buona parte della pellicola della tensione e della grinta che invece tenevano i lettori attaccati al romanzo.
Del resto l'attenzione di regista e sceneggiatori era tutta puntata sulla love story che, manco a dirlo, era uno degli elementi più deboli del libro della Roth. Per quanto tenera, infatti, la relazione fra Quattro e Tris era apparsa abbastanza scontata, ma quantomeno nel libro l'attrazione fra i due si sviluppava gradualmente. Nel film invece fin dal primo incontro è tutto un susseguirsi di sguardi intensi, mani sfiorate, parole non dette, fino al fatidico primo bacio seguito immediatamente dalla ridicola (perché immotivata) dichiarazione "Non voglio andare troppo in fretta" da parte della protagonista, come nella più banale delle storie d'amore adolescenziali.
In definitiva la pellicola si può riassumere con un semplice aggettivo: moscia.
E' inevitabile che nel passaggio da libro a film vengano fatti tagli e si perdano elementi per il lettore fondamentali: una cosa è leggere 400 pagine in cui la protagonista in prima persona esprime i suoi sentimenti, i suoi dubbi e le sue paure, una cosa è rendere questa complessità in qualche inquadratura e una decina di dialoghi. Intere amicizie vanno perse, i volti dei personaggi secondari diventano tutti uguali (nessuno fra coloro che non avevano letto il libro ha capito chi fossero Will e Al e perché ci dovrebbe importare della loro morte), le relazioni fra i protagonisti finiscono semplificate e banalizzate, le sottigliezze della trama diventano intraducibili.
I registi più bravi riescono comunque a trasmettere quantomeno l'essenza del messaggio del romanzo e le sue atmosfere. Neil Burger ci prova e in qualche modo, seppur semplificata, riesce a rendere l'idea del contrasto fra una società che vuole canalizzare i suoi membri in categorie fisse e invalicabili e l'individualità umana, rappresentata dai divergenti, che chiede libertà di esprimersi. Questo però non basta per un racconto di questo tipo: quando si semplifica e si banalizza in questo modo di solito si punta quanto meno sull'azione ma il regista non riesce a fare nemmeno questo: le sequenze di combattimento (vere o d'addestramento che siano) sono senza ritmo, totalmente prive d'adrenalina e suspence. Mosce, appunto.
D'altra parte Burger si era già fatto notare con The Illusionist, altro esempio di come una regia lenta e troppo attenta al drammone sentimentale possa affossare una trama intrigante.