Fu un’inaspettata brezza a ridestarlo dal torpore. La cappa di aria calda e immobile si stava diradando. Soffocava l’ala Est della città, da giorni, l’ultimo regalino delle bombe al Napalm. Ma almeno l’ala Est c’era ancora. “Maledetti ominidi!”- era tutto quello a cui riusciva a pensare il Comandante Karotòn – “Si staranno abboffando ancora con i resti dei miei soldati. Arrosto di coniglio bell’e servito! Bestie!”.Era reduce da tre giorni di appostamenti al porto. Riusciva a sentire ancora quel maledetto odore. Pesce rancido ecco cos’era, pesce rancido che ammorbava tutto. Che ammorbava lui, ce l’aveva addosso e non sarebbe più riuscito a liberarsene. Emanava da ogni lembo della sua pelliccia. Pelliccia?! Piuttosto un cencio spelacchiato! Forse una volta lo era stata, una pelliccia, dal colore del petrolio e lucente come l’ebano, a giocare di contrasti con le sue orecchie, lunghe, bianche, orgoglio e marchio della sua famiglia. I Karotòn! Rinomati in tutto il Reame Conigliese, la cui stirpe resisteva fin dai giorni della creazione dei primi esemplari degli Homocuniculus. E ora sarebbe toccato a lui vedere la sua razza soccombere e scomparire. Si massaggiò il collo cercando un po’ di sollievo dalla stanchezza, dai ricordi.Se quella era l’unica vita possibile per gli uomini-coniglio, meglio la morte. E vide che era rosa. Il cielo era rosa. Era già il crepuscolo. Solo allora, l’urgenza del suo dovere ripiombò sulle sue spalle, curvandole sotto quel peso gravoso, e facendogli reclinare la testa nuovamente verso terra: “E’ già il tramonto, ti vuoi muovere!” – intimò verso la figura che armeggiava sugli scalini ai suoi piedi.Forse per la stanchezza o più sicuramente per la sorpresa, non emise un fiato quando incrociò gli occhi di una ragazza. Una ragazza umana, lì, nel pieno dell’avanguardia conigliese. “Sono carina vero?!” cinguettò la ragazza e schioccò un bacio soffiandolo nella sua direzione. “Sei ridicola Grovieras, ma come dannazione ti sei conciata!” - urlò il Comandante, allargando le braccia, esasperato –“ Io non l’ho mai vista un’umana andare in giro vestita così! Lo sapevo che era una sciocchezza, affidare una missione tanto delicata nelle mani di una svampita!”. Ma neanche i suoi urli di stampo militare l’avrebbero scomposta, lo sapeva bene Karotòn. Nessuno dei suoi soldati era mai riuscito a tenergli testa come quella coniglietta. Infatti, Grovieras continuò tranquillamente ad attaccare adesivi di conigli rosa sul calcio di un fucile e rispose melliflua, anticipando un’altra prevedibile esplosione di rimbrotti: “Lo sto solo abbellendo…non ti alterare: ho studiato la mia parte alla perfezione, guardami? Neanche mia madre mi riconoscerebbe, sembro umana al 100%. Non sono una principiante e lo sai. Tu lo sai più di tutti”. Sì, lo sapeva. E doveva ammettere che quegli intrugli che facevano cadere il pelo e acquistare sembianze umane per qualche ora, erano miracolosi.“E comunque” – continuò la ragazza prima di perdere la sua attenzione – “è così che piacciono le donne agli ominidi.” Karotòn storse le labbra in un’espressione di disgusto. Il corpo delle donne umane, più che quello degli uomini, l’aveva sempre disgustato, così nudo, senza soffice e profumata peluria…sembravano morte. Grovieras se ne accorse: “Certo è una mise un tantino ridicola lo ammetto, ma sono ominidi che ti aspetti!”. Squadrò perplessa il suo abbigliamento: un corpetto nero le cingeva il busto, lasciando scoperte le braccia, e parti dei seni e del ventre comparivano tra i lacci troppo lenti. Cercò con le mani il fazzoletto di stoffa arancione e pizzo che aveva per gonna e che a malapena le copriva il pube. Calata nella parte, carezzò con lascivia una gamba e indugiò sul ginocchio, a stringere il nastro che le serrava le calze bianche. Risalì, sfiorando con le dita il polso stretto in un guanto nero che lasciava le dita scoperte, quindi attraversò le braccia, il collo circondato da un collare nero e rosso, intrecciò le dita tra i capelli turchini e scostò da un lato un piccolo cilindro nero, adornato da un grosso fiocco rosa. “Questo è un tocco di classe che ho aggiunto io” disse e sorrise salace – “Visto che gli ominidi pare non vogliano che noi siamo altro che dei conigli in un cilindro…”. “Tu devi essere un coniglio in una torta, invece!” abbaiò Karotòn -“e smettila di mangiare quella mela!”. Grovieras sbuffò, lasciò che la mela rotolasse sugli scalini e concluse: “Sì sì, lo so, melo hai ripetuto cento volte: mi intrufolo nella torta finta, sculetto in giro per la festa del Generale, me ne vado in camera sua e lo sgozzo. Poi dissemino qualche coniglietto-bomba in giro…eccoli, non sono pucciosissimi?” afferrò il coniglietto di pelouche abbandonato sullo scalino, lo accarezzò e lo depose in una borsa: “Missione compiuta. Zimbambum. Non avrai neanche il tempo di farti un saltello che tornerò da te e non ti lascerò più. Contento?” concluse e lo fissò. Poteva anche avere le sembianze di un’umana, ma quegli occhi rotondi, rosa, capaci di sorridere vezzosi, erano solo i suoi. “Non ti manderei se sapessi che non puoi farcela” sussurrò il Comandante, e distolse lo sguardo subito dopo. Grovieras si alzò, scese gli scalini in modo da dargli le spalle. Disse: “Non hai scelta. Guardati intorno: siamo già un ricordo”. Karotòn fissò i palazzi allungarsi in grandi ombre, come bare pronte a ricoprire tutto. In quella parte della città, l’architettura conigliese era quasi scomparsa, i palazzi erano squadrati, di chiara matrice umanoide e solo qualche decorazione a porte e ringhiere, conservava segni del loro retaggio. Un uomo-coniglio attraversò la strada strascicando i piedi e si confuse tra le ombre sempre più lunghe dei palazzi. Anche Grovieras cominciò ad allontanarsi. “Allora… ti aspetto” disse Karotòn e subito aggiunse con voce più atona: “Ma prima di venire da me, vedi di tornare normale”. La coniglietta si girò, gli occhi come lumini rosa nella penombra, gli regalarono un ultimo sorriso vezzoso. Poi scomparve, inghiottita dalle ombre dei palazzi.
Trattasi di un esercizio di scrittura. Pare che il mio racconto non sia stato giudicato granchè dalla promotrice dell' esercizio. Come è, come non è, la storia esiste e prima di cancellarla dalla memoria mia e del mio pc, sarà meglio inciderla in queste pagine.
Fu un’inaspettata brezza a ridestarlo dal torpore. La cappa di aria calda e immobile si stava diradando. Soffocava l’ala Est della città, da giorni, l’ultimo regalino delle bombe al Napalm. Ma almeno l’ala Est c’era ancora. “Maledetti ominidi!”- era tutto quello a cui riusciva a pensare il Comandante Karotòn – “Si staranno abboffando ancora con i resti dei miei soldati. Arrosto di coniglio bell’e servito! Bestie!”.Era reduce da tre giorni di appostamenti al porto. Riusciva a sentire ancora quel maledetto odore. Pesce rancido ecco cos’era, pesce rancido che ammorbava tutto. Che ammorbava lui, ce l’aveva addosso e non sarebbe più riuscito a liberarsene. Emanava da ogni lembo della sua pelliccia. Pelliccia?! Piuttosto un cencio spelacchiato! Forse una volta lo era stata, una pelliccia, dal colore del petrolio e lucente come l’ebano, a giocare di contrasti con le sue orecchie, lunghe, bianche, orgoglio e marchio della sua famiglia. I Karotòn! Rinomati in tutto il Reame Conigliese, la cui stirpe resisteva fin dai giorni della creazione dei primi esemplari degli Homocuniculus. E ora sarebbe toccato a lui vedere la sua razza soccombere e scomparire. Si massaggiò il collo cercando un po’ di sollievo dalla stanchezza, dai ricordi.Se quella era l’unica vita possibile per gli uomini-coniglio, meglio la morte. E vide che era rosa. Il cielo era rosa. Era già il crepuscolo. Solo allora, l’urgenza del suo dovere ripiombò sulle sue spalle, curvandole sotto quel peso gravoso, e facendogli reclinare la testa nuovamente verso terra: “E’ già il tramonto, ti vuoi muovere!” – intimò verso la figura che armeggiava sugli scalini ai suoi piedi.Forse per la stanchezza o più sicuramente per la sorpresa, non emise un fiato quando incrociò gli occhi di una ragazza. Una ragazza umana, lì, nel pieno dell’avanguardia conigliese. “Sono carina vero?!” cinguettò la ragazza e schioccò un bacio soffiandolo nella sua direzione. “Sei ridicola Grovieras, ma come dannazione ti sei conciata!” - urlò il Comandante, allargando le braccia, esasperato –“ Io non l’ho mai vista un’umana andare in giro vestita così! Lo sapevo che era una sciocchezza, affidare una missione tanto delicata nelle mani di una svampita!”. Ma neanche i suoi urli di stampo militare l’avrebbero scomposta, lo sapeva bene Karotòn. Nessuno dei suoi soldati era mai riuscito a tenergli testa come quella coniglietta. Infatti, Grovieras continuò tranquillamente ad attaccare adesivi di conigli rosa sul calcio di un fucile e rispose melliflua, anticipando un’altra prevedibile esplosione di rimbrotti: “Lo sto solo abbellendo…non ti alterare: ho studiato la mia parte alla perfezione, guardami? Neanche mia madre mi riconoscerebbe, sembro umana al 100%. Non sono una principiante e lo sai. Tu lo sai più di tutti”. Sì, lo sapeva. E doveva ammettere che quegli intrugli che facevano cadere il pelo e acquistare sembianze umane per qualche ora, erano miracolosi.“E comunque” – continuò la ragazza prima di perdere la sua attenzione – “è così che piacciono le donne agli ominidi.” Karotòn storse le labbra in un’espressione di disgusto. Il corpo delle donne umane, più che quello degli uomini, l’aveva sempre disgustato, così nudo, senza soffice e profumata peluria…sembravano morte. Grovieras se ne accorse: “Certo è una mise un tantino ridicola lo ammetto, ma sono ominidi che ti aspetti!”. Squadrò perplessa il suo abbigliamento: un corpetto nero le cingeva il busto, lasciando scoperte le braccia, e parti dei seni e del ventre comparivano tra i lacci troppo lenti. Cercò con le mani il fazzoletto di stoffa arancione e pizzo che aveva per gonna e che a malapena le copriva il pube. Calata nella parte, carezzò con lascivia una gamba e indugiò sul ginocchio, a stringere il nastro che le serrava le calze bianche. Risalì, sfiorando con le dita il polso stretto in un guanto nero che lasciava le dita scoperte, quindi attraversò le braccia, il collo circondato da un collare nero e rosso, intrecciò le dita tra i capelli turchini e scostò da un lato un piccolo cilindro nero, adornato da un grosso fiocco rosa. “Questo è un tocco di classe che ho aggiunto io” disse e sorrise salace – “Visto che gli ominidi pare non vogliano che noi siamo altro che dei conigli in un cilindro…”. “Tu devi essere un coniglio in una torta, invece!” abbaiò Karotòn -“e smettila di mangiare quella mela!”. Grovieras sbuffò, lasciò che la mela rotolasse sugli scalini e concluse: “Sì sì, lo so, melo hai ripetuto cento volte: mi intrufolo nella torta finta, sculetto in giro per la festa del Generale, me ne vado in camera sua e lo sgozzo. Poi dissemino qualche coniglietto-bomba in giro…eccoli, non sono pucciosissimi?” afferrò il coniglietto di pelouche abbandonato sullo scalino, lo accarezzò e lo depose in una borsa: “Missione compiuta. Zimbambum. Non avrai neanche il tempo di farti un saltello che tornerò da te e non ti lascerò più. Contento?” concluse e lo fissò. Poteva anche avere le sembianze di un’umana, ma quegli occhi rotondi, rosa, capaci di sorridere vezzosi, erano solo i suoi. “Non ti manderei se sapessi che non puoi farcela” sussurrò il Comandante, e distolse lo sguardo subito dopo. Grovieras si alzò, scese gli scalini in modo da dargli le spalle. Disse: “Non hai scelta. Guardati intorno: siamo già un ricordo”. Karotòn fissò i palazzi allungarsi in grandi ombre, come bare pronte a ricoprire tutto. In quella parte della città, l’architettura conigliese era quasi scomparsa, i palazzi erano squadrati, di chiara matrice umanoide e solo qualche decorazione a porte e ringhiere, conservava segni del loro retaggio. Un uomo-coniglio attraversò la strada strascicando i piedi e si confuse tra le ombre sempre più lunghe dei palazzi. Anche Grovieras cominciò ad allontanarsi. “Allora… ti aspetto” disse Karotòn e subito aggiunse con voce più atona: “Ma prima di venire da me, vedi di tornare normale”. La coniglietta si girò, gli occhi come lumini rosa nella penombra, gli regalarono un ultimo sorriso vezzoso. Poi scomparve, inghiottita dalle ombre dei palazzi.
Fu un’inaspettata brezza a ridestarlo dal torpore. La cappa di aria calda e immobile si stava diradando. Soffocava l’ala Est della città, da giorni, l’ultimo regalino delle bombe al Napalm. Ma almeno l’ala Est c’era ancora. “Maledetti ominidi!”- era tutto quello a cui riusciva a pensare il Comandante Karotòn – “Si staranno abboffando ancora con i resti dei miei soldati. Arrosto di coniglio bell’e servito! Bestie!”.Era reduce da tre giorni di appostamenti al porto. Riusciva a sentire ancora quel maledetto odore. Pesce rancido ecco cos’era, pesce rancido che ammorbava tutto. Che ammorbava lui, ce l’aveva addosso e non sarebbe più riuscito a liberarsene. Emanava da ogni lembo della sua pelliccia. Pelliccia?! Piuttosto un cencio spelacchiato! Forse una volta lo era stata, una pelliccia, dal colore del petrolio e lucente come l’ebano, a giocare di contrasti con le sue orecchie, lunghe, bianche, orgoglio e marchio della sua famiglia. I Karotòn! Rinomati in tutto il Reame Conigliese, la cui stirpe resisteva fin dai giorni della creazione dei primi esemplari degli Homocuniculus. E ora sarebbe toccato a lui vedere la sua razza soccombere e scomparire. Si massaggiò il collo cercando un po’ di sollievo dalla stanchezza, dai ricordi.Se quella era l’unica vita possibile per gli uomini-coniglio, meglio la morte. E vide che era rosa. Il cielo era rosa. Era già il crepuscolo. Solo allora, l’urgenza del suo dovere ripiombò sulle sue spalle, curvandole sotto quel peso gravoso, e facendogli reclinare la testa nuovamente verso terra: “E’ già il tramonto, ti vuoi muovere!” – intimò verso la figura che armeggiava sugli scalini ai suoi piedi.Forse per la stanchezza o più sicuramente per la sorpresa, non emise un fiato quando incrociò gli occhi di una ragazza. Una ragazza umana, lì, nel pieno dell’avanguardia conigliese. “Sono carina vero?!” cinguettò la ragazza e schioccò un bacio soffiandolo nella sua direzione. “Sei ridicola Grovieras, ma come dannazione ti sei conciata!” - urlò il Comandante, allargando le braccia, esasperato –“ Io non l’ho mai vista un’umana andare in giro vestita così! Lo sapevo che era una sciocchezza, affidare una missione tanto delicata nelle mani di una svampita!”. Ma neanche i suoi urli di stampo militare l’avrebbero scomposta, lo sapeva bene Karotòn. Nessuno dei suoi soldati era mai riuscito a tenergli testa come quella coniglietta. Infatti, Grovieras continuò tranquillamente ad attaccare adesivi di conigli rosa sul calcio di un fucile e rispose melliflua, anticipando un’altra prevedibile esplosione di rimbrotti: “Lo sto solo abbellendo…non ti alterare: ho studiato la mia parte alla perfezione, guardami? Neanche mia madre mi riconoscerebbe, sembro umana al 100%. Non sono una principiante e lo sai. Tu lo sai più di tutti”. Sì, lo sapeva. E doveva ammettere che quegli intrugli che facevano cadere il pelo e acquistare sembianze umane per qualche ora, erano miracolosi.“E comunque” – continuò la ragazza prima di perdere la sua attenzione – “è così che piacciono le donne agli ominidi.” Karotòn storse le labbra in un’espressione di disgusto. Il corpo delle donne umane, più che quello degli uomini, l’aveva sempre disgustato, così nudo, senza soffice e profumata peluria…sembravano morte. Grovieras se ne accorse: “Certo è una mise un tantino ridicola lo ammetto, ma sono ominidi che ti aspetti!”. Squadrò perplessa il suo abbigliamento: un corpetto nero le cingeva il busto, lasciando scoperte le braccia, e parti dei seni e del ventre comparivano tra i lacci troppo lenti. Cercò con le mani il fazzoletto di stoffa arancione e pizzo che aveva per gonna e che a malapena le copriva il pube. Calata nella parte, carezzò con lascivia una gamba e indugiò sul ginocchio, a stringere il nastro che le serrava le calze bianche. Risalì, sfiorando con le dita il polso stretto in un guanto nero che lasciava le dita scoperte, quindi attraversò le braccia, il collo circondato da un collare nero e rosso, intrecciò le dita tra i capelli turchini e scostò da un lato un piccolo cilindro nero, adornato da un grosso fiocco rosa. “Questo è un tocco di classe che ho aggiunto io” disse e sorrise salace – “Visto che gli ominidi pare non vogliano che noi siamo altro che dei conigli in un cilindro…”. “Tu devi essere un coniglio in una torta, invece!” abbaiò Karotòn -“e smettila di mangiare quella mela!”. Grovieras sbuffò, lasciò che la mela rotolasse sugli scalini e concluse: “Sì sì, lo so, melo hai ripetuto cento volte: mi intrufolo nella torta finta, sculetto in giro per la festa del Generale, me ne vado in camera sua e lo sgozzo. Poi dissemino qualche coniglietto-bomba in giro…eccoli, non sono pucciosissimi?” afferrò il coniglietto di pelouche abbandonato sullo scalino, lo accarezzò e lo depose in una borsa: “Missione compiuta. Zimbambum. Non avrai neanche il tempo di farti un saltello che tornerò da te e non ti lascerò più. Contento?” concluse e lo fissò. Poteva anche avere le sembianze di un’umana, ma quegli occhi rotondi, rosa, capaci di sorridere vezzosi, erano solo i suoi. “Non ti manderei se sapessi che non puoi farcela” sussurrò il Comandante, e distolse lo sguardo subito dopo. Grovieras si alzò, scese gli scalini in modo da dargli le spalle. Disse: “Non hai scelta. Guardati intorno: siamo già un ricordo”. Karotòn fissò i palazzi allungarsi in grandi ombre, come bare pronte a ricoprire tutto. In quella parte della città, l’architettura conigliese era quasi scomparsa, i palazzi erano squadrati, di chiara matrice umanoide e solo qualche decorazione a porte e ringhiere, conservava segni del loro retaggio. Un uomo-coniglio attraversò la strada strascicando i piedi e si confuse tra le ombre sempre più lunghe dei palazzi. Anche Grovieras cominciò ad allontanarsi. “Allora… ti aspetto” disse Karotòn e subito aggiunse con voce più atona: “Ma prima di venire da me, vedi di tornare normale”. La coniglietta si girò, gli occhi come lumini rosa nella penombra, gli regalarono un ultimo sorriso vezzoso. Poi scomparve, inghiottita dalle ombre dei palazzi.
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