Flussi migratori, Brasile e caffè: questi gli elementi che si intrecciano e formano il filo rosso della tesi in storiografia di Anisio Ciscotto Filho “L’immigrazione italiana nel Minas Gerais. La fazenda Do Rochedo negli anni 1888-1889”, discussa nel 2004 come Bachelarado em Historia, all’Universidade Federal de Minas Gerais.
VIA GLI SCHIAVI, ARRIVANO GLI ITALIANI
A cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento sono molti gli italiani che lasciano la Penisola per cercare fortuna in Brasile. I migranti erano spinti dalla miseria, conseguenza della depressione agricola della fine del XIX secolo; sull’altro fronte l’impero brasiliano aveva bisogno di manodopera bianca. Perché? Il 13 maggio 1888 fu abolita la schiavitù e si rese necessario accogliere nuovi lavoratori che potessero sostituire o fiancheggiare i neri ormai affrancati, a fronte di un lavoro nei campi che andava sempre più aumentando. Si trattò anche di una questione di ordine pubblico: la massa degli uomini di colore, divenuti liberi, veniva considerata pericolosa e “schiarire la popolazione”, favorendo l’afflusso di europei bianchi, fu una mossa preventiva utile a scongiurare squilibri razziali imprevedibili. Così, già dal 1887, l’impero brasiliano iniziò a favorire l’ingresso degli europei, con biglietti sovvenzionati e speciali agevolazioni per interi gruppi famigliari.
Lo studio di Ciscotto si focalizza, tuttavia, su un’area specifica, quella del Minas Gerais, la provincia che possedeva il maggior numero di schiavi impiegati sì nei lavori delle miniere, ma anche nei campi. Soprattutto nella “Zona da Mata” cominciarono a sorgere molte fazendas che producevano caffè ed è proprio qui che vennero accolti gli italiani.
Ciscotto evidenzia come in questa regione la maggior parte dei migranti fosse giunta da un’area geografica italiana: la provincia di Udine in Friuli Venezia Giulia. Sfogliando i registri delle autorità migratorie, scopre i nomi delle famiglie, i Cristofori, gli Scotto, i Danellon…, che toccarono le sponde del nuovo continente a bordo di navi che malinconicamente portavano il nome di simboli della patria italiana, “Città di Roma”, “Mazzini”, “Po”… [Continua...]
By Susanna de Mottoni
Articolo pubblicato sul numero di giugno 2011 del Notiziario Torrefattori
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