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Dalla guerriglia al governo, Sánchez Cerén è il nuovo presidente di El Salvador

Creato il 21 marzo 2014 da Eldorado

Il paragone è d’obbligo. La storia personale di Salvador Sánchez Cerén, il nuovo presidente di El Salvador, ricorda quella di altri colleghi latinoamericani. È infatti il quarto esponente a raggiungere la più alta carica di uno Stato, di quella generazione che ha combattuto nell’ambito della sinistra rivoluzionaria. Prima di lui Daniel Ortega in Nicaragua, Pepe Mújica in Uruguay e Dilma Rousseff in Brasile sono stati eletti presidenti completando un percorso d’eccezione che dai campi di battaglia o dalla prigionia li hanno portati a dirigere le sorti dei loro rispettivi paesi.

Il paragone, però, dovrebbe finire qui. Difficile pensare che Sánchez Cerén, che faceva il maestro prima della guerra ed ora ha 69 anni, potrà essere un nuovo Mújica. El Salvador non è l’Uruguay, e le personalità, sebbene affini in pensiero ed ideologia, devono fare in conti con fattori ben più complessi. Vice-presidente di Mauricio Funes per cinque anni, l’ex comandante Leonel González com’era conosciuto nei ranghi dell’FMLN, dovrà barcamenarsi tra la sua ammirazione per il progetto bolivariano dell’Alba e la forte influenza che gli Stati Uniti esercitano su El Salvador.

Un paese piccolo questo, il più piccolo del Centroamerica, ma che ha una storia di tutto rispetto, forgiata nel dolore e nell’estrema polarizzazione della vita politica. Il Frente Farabundo Martì e la destra di Arena si sono fatti la guerra per anni, con una delle parti –Arena, appunto- che si è macchiata di orrendi crimini, come il massacro del Mozote, l’assassinio di monsignor Romero e l’eccidio di padre Ellacuría e dei suoi compagni gesuiti. Anche così, con questa pesante eredità, Arena è rimasta una macchina di voti che oggi, anche se in stretta minoranza politica, può controllare il panorama imprenditoriale del Paese.

Sánchez Cerén deve governare in questo clima, come prima di lui ha fatto il suo compagno di partito Mauricio Funes. La differenza è che Funes, politico in giacca e cravatta, ha cercato la mediazione, Sánchez da ex guerrigliero -che ha sempre criticato il suo presidente-, non sembra avere un particolare interesse per la diplomazia. La convivenza con Arena sarà difficile, a cominciare dal fatto che il loro candidato, Norman Quijano, ex sindaco della capitale, ha perso le elezioni al ballottaggio per uno striminzito 0,22%. Quijano l’ha presa malissimo, al punto da minacciare di mandare i carri armati davanti al Congresso, dimostrando ancora una volta di che qualità è fatta la politica locale.

-È il modello salvadoregno-, ha spiegato appunto Sánchez Cerén, poco preoccupato delle minacce del suo contendente. Un modello che, pur stando a sinistra, si avvale di un’economia dollarizzata e che non ha nessuna intenzione di mollare il dollaro, e che finora, nonostante il flirt con l’Alba, non ha avuto ancora il coraggio di dire no agli Stati Uniti. El Salvador è l’unico paese centroamericano che invia i suoi soldati nelle missioni di pace a fianco dei marines (attualmente sono in Libano, Afghanistan e Haiti). Una ragione c’è: le rimesse che provengono dagli immigrati salvadoregni dagli Usa, rappresentano quasi il 16% del prodotto interno lordo. Tanto per dare dei numeri, nel 2013 a rimpinguare la casse dello Stato sono arrivati 4.000 milioni di dollari: davanti ai soldi, insomma, è difficile dire no. L’economia salvadoregna, che negli anni passati si era valsa di esempi imprenditoriali unici in Centroamerica (Taca, Grupo Poma, La Curacao, Dinant per citarne alcuni) da tempo ristagna e le rimesse sono aumentate in proporzione.

Agli Usa, il futuro presidente Sánchez Cerén –che inizierà il suo mandato il primo giugno-, non è mai piaciuto. Il Dipartimento di Stato l’ha schedato dai tempi dell’11 settembre tra i personaggi scomodi da tenere d’occhio, sia per le sue dichiarazioni che per le sue gesta. Cosa ne pensi l’interessato è difficile saperlo. Il neo-presidente non parla quasi mai con i giornalisti, secondo un atteggiamento che è diventato consuetudine nella sinistra latinoamericana che reputa la maggioranza dei mezzi di comunicazione in mano alle destre ed ai gruppi economici conservatori. In quest’ottica, a pochi giorni delle elezioni ha cancellato un’intervista a CNN, ma ha parlato a Telesur: domande e risposte tra amici, forse poco coraggioso per un ex comandante rivoluzionario, ma comunque prudente.

Intanto, mentre Arena continua a non riconoscere il responso delle urne, Sánchez Cerén ha illustrato i piani del suo governo: educazione, riforma delle pensioni ed una politica di assistenza sociale saranno le sue priorità.


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