Difficile dirlo, perchè è come per le ricette, quel piatto che si porta a tavola non sarà mai l'elenco dei suoi ingredienti.
E quindi, quante cose, che ci sono in queste pagine.
Una saga famigliare che abbraccia un secolo e ha il sapore di altri tempi e altre letture importanti. La storia di una bambina che si farà grande e che affida il suo segreto a un albero di gelsi bianchi.
Una terra aspra e forte come la Murgia, ulivi e fatica. Una città che non è solo una città, ma una promessa e una maledizione, New York sognata e inseguita passando per l'Ellis Island degli emigranti. E poi un'altra città, sogno minore ma comunque promessa di futuro, Torino, stazione di arrivo per tante famiglie dal Sud e lavoro in fabbrica.
Una lingua italiana che dà voce a una storia a più voci. Un dialetto che emerge dalle pagine come voce magica, arcana, autentica.
La forza della narrazione che sa liberare la fantasia senza effetti speciali e la forza della storia vera, che non inventa perché la realtà quasi sempre va più lontano della nostra fantasia.
E il senso dell'attesa, il sapore dell'ironia, il dono della meraviglia, e altro, sicuramente altro.
Poi il libro finisce, è ovvio, lo riponi sullo scaffale, però sai che non è così che ti congedi. Sai che qualcosa risuonerà ancora, che magari continuerai a interrogarti sul modo in cui un libro così si può scrivere a quattro mani - un fratello e una sorella, poi - sai che magari un giorno tornerai in Puglia, nella terra di questa storia, e ti guarderai intorno come se le parole potessero abitare davvero la terra, abitarla, trasformarla.
Perché è così, sono convinto che sia così. E vale le pena andare e vedere.