Una sfida. E’ così che è cominciata la storia sulle due ruote di Ivan Beltrami. Adolescente estroverso e un po’ ribelle, Ivan, fin da piccolo, è abituato a fare sport: tennis e soprattutto surf. Non potrebbe essere altrimenti per uno che è nato sulle rive del lago di Garda, a Torbole, tranquillo paradiso lacustre che d’estate si riempie di ragazzi che vivono di acqua e di vento. La bicicletta entra nella sua vita per caso: un pomeriggio mentre torna da una partita di tennis, un manager amico di suo padre gli dice: “Ma perché non provi con il ciclismo?”. La proposta diventa quasi una sorta di scommessa: il ragazzo farà il primo anno da allievo rimborsato di tutte le spese, a patto che vinca. Altrimenti dovrà restituire tutto quanto. Una provocazione. Ivan è affascinato dalle sfide e accetta. Quasi per gioco, inizia la sua carriera ciclistica e le vittorie di quel primo anno lo invogliano a continuare. La sua originalità di carattere lo porta ad amare la pista: disciplina affascinante e particolare che, per volergli bene, bisogna capirla e soprattutto viverla. Gli piacciono le Sei Giorni, adora viaggiare e forse è proprio questo il suo spirito ciclistico: il viaggio, fare le valigie, disfarle e poi ripartire di nuovo. “Un cavallo pazzo” come lui stesso si definisce, per un ciclismo Beat, che ruota attorno alla follia di un anello di lucido parquet e una campanella che riporta al mondo reale.
Nel 1987 è medaglia d’argento nel Campionato Mondiale Inseguimento a Squadre Junior. Difende i colori azzurri ai Giochi Olimpici di Seul nel 1988 e a quelli di Barcellona nel 1992. Quando gli chiedo quale sia stata l’emozione più intensa della sua carriera mi aspetto che parli delle sue vittorie. Invece Ivan torna a quando, per la prima volta, ricevette il materiale olimpico. “Ero un ragazzetto” dice, “avevo diciannove anni e ricordo ancora bene il pulmino della federazione che venne a consegnare tutto quello che sarebbe servito: divisa, scarpini…Sparpagliai le cose sul letto. C’era veramente tutto, persino il phon! E’ un’emozione che mi porterò sempre dentro, ancora prima delle vittorie, dei traguardi.”
Quando davanti a lui si prospetta una carriera ciclistica nella Lampre, a fianco di Maurizio Fondriest, Ivan capisce che deve fare una scelta. Non è uno al quale piace temporeggiare: anche se si tratta della sua vita, le decisioni sono sempre secche, decise. E’ così che dice di no, al professionismo: Ivan sa di essere un corridore forte ma il suo terreno non è la strada. E poi ha un altro progetto in mente. Le gambe sono da seigiornista ma la testa ce l’ha da artista.
A Torbole, suo padre porta avanti un bar di famiglia, nato da un’ idea un po’ rivoluzionaria, per allora. “Negli anni 60” spiega Ivan. “Tutti i bar avevano nomi scontatissimi come Al ponte, Bar Lina, Bar Roma ed erano tutti rigorosamente in centro paese. Mio nonno, che era anche lui un tipo particolare, pensò di aprire un bar lontano dal centro e con un’insegna totalmente originale. Nacque così il Mecki. Un avanguardia, in un certo senso. Paragonabile a un’installazione artistica.”
Attorno a lui e al suo progetto collaborano anche il fotografo Dido Fontana che, con i suoi scatti tutt’altro che comuni, porta avanti una campagna pubblicitaria fuori dagli schemi e dai concetti di “bellezza” e “sensualità” fini a sé stessi, e Virginia Sommadossi responsabile comunicazione e immagini della Centrale Fies, un centro per la produzione di opere di arte contemporanea a Dro (Trento).
Il Mecki’s, insomma, è forse più una collettiva di artisti che un semplice negozio. E anche la storia del leit motiv del marchio ha qualcosa che ricorda i vecchi caffè dei letterati. Quando chiedo a Ivan come sia nato il motto “Fucking & Perfect” che ricorre in molte sue creazioni, rievoca una serata torboliana tra amici del 1999. Con loro c’era anche Alfonso detto Pompo Bresciani, un fotografo che, a quei tempi, viveva a Torbole e ora è sul suolo americano. “Tra una birra (anche più di una) e qualche risata” dice, “abbiamo coniato questo Fucking & Perfect che, in sé non ha un significato particolarmente profondo. Ma funziona, come molte delle cose che nascono dall’improvvisazione, dall’istinto.”
Sì, istinto. Ci vuole in bicicletta, come nella vita. Ivan, pur rinunciando a continuare la carriera sulle due ruote, ha saputo portare nella sua vita di tutti i giorni quella follia e quella passione che aveva quando faceva il “cavallo pazzo” in pista.
“La bicicletta però non l’ho fisicamente abbandonata” precisa Ivan. “Esco cinque volte a settimana. Ma non per allenarmi, come fanno molti. Non la vedo così. E’ un divertimento. Mi piace pedalare con la mia musica nelle orecchie e godermi l’aria pura”. Aria pura che a Torbole viene dal lago, ne porta i profumi e, con essi, anche le storie, i misteri che le sue vie, le sue acque hanno conosciuto. Aria che accarezza i cipressi che fanno ombra ai sentieri nelle mattine roventi di sole.
Sarà questo il segreto di una vita fottutamente perfetta?