Dalla poesia all'autobiografia

Da Anna
Parlare di una poesia “immediatamente comprensibile” come la parola della comunicazione funzionale e quotidiana è semplicemente un non senso.
La poesia, come ogni forma d’arte - se davvero tale, è “nascita” di qualcosa che prima non esisteva. È bene altresì puntualizzare che la comprensione della poesia non si ferma alla sua oggettualità come ha cercato di far credere in passato certa critica.
Per comprendere la poesia bisogna necessariamente “identificarsi” ed entrare in empatia con ciò che si legge.
In sintesi la poesia “com-presa” è la poesia “presa con se”. La poesia compresa è quella che sia divenuta “parte di noi”.
Il poeta è colui descrivendo il quotidiano lo eleva a forma estetica, entrando in una dimensione trascendente; è colui che trova un significato nella parola oltre il significato codificato; è colui che entra in contatto con il mistero e per primo è in grado di portare alla luce il “rimosso” dando ad esso “cittadinanza” nel mondo come Arte.
La poesia dà alle cose un nuovo nome. E’ un gioco aperto e insicuro. Un modo di esprimere il proprio spazio interiore e al contempo di riempirlo di nuovi significati.
Nei laboratori di scrittura creativa, lo spazio che si esplora è quello della fantasia e dell’immaginazione, una capacità importantissima come quella del far di conto.
Le fiabe e le favole sono sempre state utilizzate per dare un senso al mondo, per trasmettere informazioni vitali da una generazione all’altra, per dare insegnamenti morali, per “mettere ordine”.
Ed è proprio per mettere ordine che i laboratori sull’autobiografia hanno tanto successo.
Negli ultimi anni sono nate molte scuole di scrittura, con metodologie ed obiettivi diversi e questo significativo sviluppo dimostra quanto è grande il bisogno di riconquistare una propria dimensione di piacere e di libertà con la propria scrittura.
Per fare questo è importante scoprire la gioia nel lasciarsi andare piano piano: le acque della scrittura possono essere un po’ torbide, all’inizio, ma già ricche di scoperte.
La pratica di lavoro sulla scrittura che ispira i miei percorsi hanno preso avvio dai laboratori ideati da Elisabeth Bing, una personalità un po’ difficile da definire professionalmente: un po' insegnante, un po' scrittrice, un po' critica letteraria; a partire da un'esperienza di insegnamento di molti anni fa ha immaginato e messo a punto percorsi di scrittura che rispondono alle intenzioni espresse fin qui.
La Bing avvia un lavoro di decondizionamento volto a liberare la scrittura dalla rigida adesione ai contenuti e alle norme della tradizione. L'obiettivo è dare spazio, in esse, alla pulsione del desiderio e farne l'espressione dell'io di chi scrive.
Questo processo di decondizionamento non può prescindere, secondo la Bing, da un atteggiamento di originaria ed incondizionata apertura nei confronti dei testi prodotti. Per quanto sdolcinati e banali, spesso sgrammaticati e a volte addirittura illeggibili, costituiscono infatti il frutto di uno sforzo e rappresentano il modo in cui i loro autori, sebbene secondo canoni convenzionali, sono riusciti ad affermare la loro esistenza sulla pagina.
Tali testi sono un regalo prezioso, oggetto di attenzioni e di cura. Per favorire questo riflettersi della vita sulla pagina la Bing fa ai suoi allievi precise proposte. Di fronte al cosiddetto testo libero, infatti, la persona si perde e finisce per cadere inevitabilmente vittima degli schemi tradizionali, si tratta invece, secondo la Bing di trovare valide alternative.
La consegna "Mi piace - non piace" costituisce il primo tentativo di scrittura collegata ad un centro di interesse reale. Attraverso testi in cui vengono a trovarsi variamente combinati il piacevole e lo spiacevole per sé, la corrente del desiderio viene innescata. Un palpito vitale è messo in moto.
L'esercizio del "nominato" è un'altra proposta con la quale costruire un legame diretto tra vita e scrittura. Nominare significa per la Bing liberarsi dalla prigione delle frasi convenzionali e dall'indigestione di parole preconfezionate. Vuol dire osservare e descrivere gli oggetti del mondo, dare un nome a ciò che si sente e si vede in uno spazio limitato.
Una volta ritrovato il contatto con la realtà esterna si tratta di recuperare quello con il mondo dell'io. Dalla scrittura del visibile si passa così a quella dell'invisibile: inizia il viaggio verso l'interno, verso le impronte della memoria, l'infanzia e il mito.
Quello che emerge nell'esperienza della Bing è un uso pedagogico della scrittura emozionale: (...) La scrittura emozionale pare favorire un più stretto contatto con la realtà.
Con l'esercizio del "nominato", ad esempio, la realtà acquista spessore e si dà alla percezione con forza dirompente. Nominare gli oggetti del mondo sulla pagina significa farli esistere davvero, osservarli come se li si osservasse per la prima volta, aderire ad essi in modo nuovo. La realtà sembra dunque cominciare ad esistere per noi in senso pieno solo quando cominciamo, attraverso l'atto dello scrivere , a nominarla.
Lo scrivere può quindi essere inteso come un atto di attribuzione di realtà alle cose. Nello stesso tempo si configura come una forma rinnovata di sguardo ad esse rivolto. Rispetto a questo secondo punto, però, un possibile fraintendimento va subito chiarito. La scrittura, cioè, non si limita a registrare un cambiamento del nostro modo di guardare che si attui anteriormente all'atto scrittorio e da questo indipendente.
Al contrario, è proprio tale atto che favorisce l'acquisizione di un nuovo sguardo e di una nuova attenzione. Questa osservazione, rintracciabile qua e là fra le righe, è dalla Bing soltanto suggerita. Ciò non deve sorprendere perché "...Ho nuotato fino alla riga" non è un saggio teoretico, ma il racconto di una personale esperienza, racconto nel quale le considerazioni più generali che l'autrice via via inserisce si offrono più con il carattere di semplici spunti da approfondire che non come vere e proprie conclusioni criticamente elaborate.
Un'altra importante funzione che la scrittura emozionale assolve è quella espressiva. Essa consente la manifestazione dell'io di chi scrive e viene avvertita da chi lo pratica come attività liberatoria e piacevole. rende possibile, è vero, anche la comunicazione di contenuti; oppure favorisce un processo di conoscenza di sé. Non sono questi, però, gli aspetti sui quali la Bing prevalentemente insiste.
La scrittura emozionale è soprattutto scrittura vivente, con la quale amplificare il battito del proprio cuore o creare una eco al ritmo del proprio respiro. Grazie ad essa è la persona nella sua interezza che si mostra. Ciò che essa produce è una salutare "ginnastica dell'essere" nelle sue molteplici sfaccettature". La scrittura emozionale favorisce anche la crescita e l'evoluzione dell'io. Ciò che per suo tramite può attuarsi è una vera e propria costruzione della persona.
Certo, la scrittura da sola non basta a garantire il compiersi di un'impresa così delicata e complessa quale è quella relativa alla formazione di un essere; ma è altrettanto certo che l'apporto fornito dalla scrittura si muove proprio in questa direzione. Il fine è sempre lo stesso cioè pervenire ad una forma di esistenza più completa ed autentica.