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Dalla Sclerosi Multipla alla salute partecipata, la sfida di Isola Attiva

Creato il 14 aprile 2011 da Dtosello

Dalla Sclerosi Multipla alla salute partecipata, la sfida di Isola Attiva

isolaattiva.jpgBuone nuove dalla Sardegna: l’associazione Isola Attiva Onlus è una delle prime esperienze di cittadini-pazienti nate grazie alla Rete e che esplicitamente promuove “un’idea di salute partecipata in particolare nella sclerosi multipla.

 Nel sito (un po’ prolisso ma benfatto e da leggere con attenzione) trovate la loro storia (partita nel settembre del 2009 con la scoperta del prof. Zamboni della CCSVI, insufficienza venosa cronica cerebro-spinale), ma soprattutto una sezione sulla salute partecipata, l’empowerment del paziente e le nuove tecnologie, oltre ad un S.O.S., un punto di ascolto e di mutuo-auto aiuto per le persone che (con)vivono con la sclerosi multipla.

 Vi propongo dunque l’intervista via mail (i grassetti sono miei) a Stefania Calledda, consigliere, portavoce e responsabile della comunicazione della neonata associazione.

D: Perchè “un’idea” di salute partecipata?

R: ritengo che la salute partecipata sia un concetto molto nuovo e complesso che non sempre è colto dal paziente, per cui prima di tutto dobbiamo iniziare a costruire l’idea stessa di salute partecipata in un contesto in cui è largamente sconosciuta come concetto e di difficile attuazione dunque. Noi dobbiamo partire dalla radice, cioè creare una coscienza collettiva e non sappiamo se riusciremo a raggiungere l’obiettivo. L’obiettivo è quindi la salute partecipata, ma esiste un processo pregresso da avviare.

D: come si sta evolvendo il mondo “sclerosi multipla” in Italia?

R: Al di là del ruolo istituzionale che ricopro, devo ricordare che sono prima di tutto una paziente, una persona affetta da sclerosi multipla da oltre dieci anni, che attraverso l’accumulata esperienza nel volontariato ha potuto cogliere evoluzioni ed involuzioni nel campo della sclerosi multipla a 360°.

Devo dire c’è ancora molta strada da fare, e non mi riferisco tanto ad un discorso prettamente terapeutico (come sappiamo in effetti la sclerosi multipla resta una malattia cronica) piuttosto ad un approccio al malato nella sua complessità di persona, nella sua globalità: ad oggi par quasi che questi malati di sclerosi multipla siano delle risonanze magnetiche che camminano. Nell’ultimo numero di Neurological Sciences, della società italiana di neurologia, fa impressione notare come l’aspetto della qualità di vita, l’influenza della riabilitazione globale del paziente, l’aspetto psicologico e psichiatrico, scompaiano per dare spazio ad una serie di dati che - oltre a dimostrare il fallimento dell’aspetto esclusivamente farmacologico - sono l’esempio emblematico di come tra pazienti e terapeuti il solco che si sta creando è sempre più profondo, pericolosamente aggiungo.

Nella presunta ricerca di un’oggettività scientifica, la Medicina, soprattutto nel campo delle cosiddette malattie croniche, ha perso l’obiettivo precipuo della sua esistenza che non può fare a meno della soggettività dell’essere umano.
Con i nuovi farmaci il rischio di effetti collaterali sempre più lesivi della salute complessiva dei pazienti, la morte, il cancro, la leucemia ed altre atroci malattie sono entrate nella quotidianità delle persone che rappresentiamo, ovvero i malati di sclerosi multipla, in età sempre più giovani e con risultati sempre più sconcertanti. Non so, vogliamo definirla un’evoluzione? Io ho dei dubbi. Credo che la comunità scientifica internazionale debba problematizzare seriamente l’approccio al paziente, mettere in discussione decenni di una linea terapeutica che ha perso pezzi di umanità per strada, perché per lo più la Medicina dimostra di non poter guarire, deve allora imparare a pretendere da se stessa altre cose.

C’è inoltre una “questione meridionale” aperta anche in questo campo: in un libro di qualche anno fa si sosteneva polemicamente che il cancro fosse più maligno al sud per via delle carenze assistenziali; possiamo dire lo stesso della sclerosi multipla, noi abbiamo contatti con realtà differenti su tutto il territorio nazionale e le posso dire che anche in questo frangente le differenze tra nord e sud del Paese sono abissali. E non apro la parentesi sui diritti dei malati, sull’assistenza,… la crisi economica ha finito per colpire ancora una volta le fasce più deboli della società e tra questi i malati di sclerosi, che sono spesso anche disabili, a volte gravemente, ne hanno dovuto subire di ogni. Potrei per esempio menzionarle le umiliazioni che subisco ad ogni colloquio di lavoro per il semplice fatto di essere classificata improduttiva perché invalida.

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(Immagine tratta dal sito isolattiva.org)

D: Il Movimento CCSVI Sardegna, diventato poi associazione, come si è strutturato? Siete riusciti (state riuscendo) a restare uniti e ad agire sia a livello nazionale che locale?

R: La nostra associazione ha cercato di porsi in maniera totalmente diversa rispetto alle altre già affermatesi anni addietro, questo perché contiamo della particolarità di avere un passato come Movimento che ovviamente ha caricato il nostro agire di una certa esperienza comunicativa soprattutto, di mobilitazione bottom-up, con una gestione decisionale orizzontale. Siamo una realtà regionale, abbastanza radicata su tutto il territorio grazie alle nuove tecnologie, ma non abbiamo voluto restare isolati per l’ennesima volta, siamo in rete con altre associazioni di tutta la nazione, puntiamo a costruire alleanze sempre più stringenti nel nome di principi condivisi: l’idea di rete, di federazioni di enti no profit credo che sia il miglior modo per non cadere in strutture troppo elefantiache ed inefficaci perché sempre più lontane dalle persone che rappresentano.

Noi non solo vogliamo che le persone si sentano partecipi, esse devono soprattutto essere protagoniste e costruire con noi un modo di vivere la malattia più confacente alla realtà quotidiana.
Nel passaggio tra Movimento e Associazione c’è sempre una dispersione fisiologica, ma non sempre è un fatto negativo, all’interno del disordine mobilitativo c’è sempre qualche scheggia impazzita, a volte è necessario dare una disciplina, un ordine che sia di compromesso tra visioni differenti. Abbiamo scelto una struttura semplice con particolare attenzione alle realtà concrete e specifiche grazie all’uso della figura del referente territoriale: resta un concetto aperto di dibattito e discussione continua attraverso l’informazione e lo scambio con i soci. Il Movimento in questo ci ha insegnato molto.

D: In cosa si differenzia la vostra associazione?

R: In primis il concetto di salute partecipata è esplicitato a chiare lettere come principio fondante, credo siano poche le associazioni che possano vantare uno spirito così innovativo.

Il direttivo ha una composizione estremamente giovane, a forte presenza femminile, attenti alle opportunità delle nuove tecnologie della comunicazione e con uno sguardo al futuro più lungimirante di tante altre associazioni che per ragioni, spesso semplicemente anagrafiche, sono ancora troppo ancorate ad un’idea sorpassata di salute, malattia, rapporto con le istituzioni e con la classe medica. La realtà della sclerosi multipla è molto cambiata nel tempo, così anche il ruolo del paziente, noi rappresentiamo questo vento di novità.

D: Quanto sono sentiti/diffusi i concetti di salute partecipata, di “cittadino-paziente” di empowerment, tra i vostri associati, tra le persone con SM e tra gli operatori sanitari con cui vi rapportate?

R: Siamo nella preistoria: attraverso il Movimento abbiamo iniziato già a porre le basi perché le persone con sclerosi multipla sarde e non solo, potessero avvertirsi come categoria portatrice di interessi specifici, a volte in contrasto con la classe medica curante od altre questioni relative ai rapporti di forza politici e baronali, abbiamo puntato sull’emancipazione da una sorta di sudditanza, attraverso la coscienza, il principio di libertà terapeutica.
Se i pazienti hanno ancora molta strada da percorrere, almeno per la Sardegna, possiamo dire che dall’altra parte delle scrivanie siamo ancora più indietro e questo si coglie nel fatto che siamo stati avvertiti come una minaccia, non sanno gestire questo nuovo modo di essere pazienti, ne vengono investiti e reagiscono a volte aggressivamente. Abbiamo ancora troppo scarso dialogo con i nostri terapeuti, il timore o lo snobismo che hanno nei nostri confronti rischia di nuocere ad entrambi.
L’Italia in questo è molto indietro.

D: Come sta rispondendo il vostro territorio?

R: Per quanto concerne la voglia di partecipazione al nostro progetto dei pazienti benissimo: abbiamo attestati calorosi da ogni parte dell’isola e la solidarietà delle altre associazioni del Continente.

Sono convinta che il processo di “Salute Partecipata” è avviato, mentre la classe medica è ancora impreparata, li vedo molto in difficoltà, in crisi. Se comunicassero con noi capirebbero che possiamo lavorare insieme, ma dobbiamo trovare un punto d’incontro, non accettiamo più un discorso verticale nel rapportarsi, avere accesso alle pubblicazioni scientifiche e alle informazioni relative ai conflitti d’interesse, investimenti di capitali e carenze amministrative ed assistenziali non è mai stato così semplice. Vogliamo più trasparenza.

D: Che visione avete dei social media e come invece siete visti dai media tradizionali e dalla gente normale?

R: Le nuove tecnologie ci sono di grande aiuto, per essere presenti in zone di vastità variabili i social media sono fondamentali: ricordo quando si parlava di facebook come di una moda passeggera, ma oggi senza di esso non sappiamo se le rivoluzioni del nord africa avrebbero avuto la stessa adesione di massa e peso.

La Medicina in questo periodo si è trovata fortemente in crisi, è ora che i pazienti prendano in mano le redini della storia e rivoluzionino loro quello che pareva incancrenirsi.
Per quanto riguarda i media tradizionali facciamo più fatica, ma la forza dei malati è che l’evidenza di ciò che è giusto non può sempre soccombere alla prepotenza del più potente: abbiamo trovato anche molti giornalisti che hanno mostrato grande sensibilità, ogni muro eretto, ce lo insegna la storia, è destinato a cadere.

All’inizio mi sono sentita dare della pazza molto gratuitamente da soggetti francamente discutibili. Eravamo un gruppo di facinorosi sul piede di guerra, così ci descrivevano alla gente, ma noi, attraverso il coinvolgimento, ci siamo fatti voler bene e tutti i giorni ricevo le lettere di molti sostenitori che ci spingono ad andare avanti perché non sono contenti di come vanno le cose, di come vengono seguiti, di come sono considerati.

Qui non c’entra più la CCSVI, che ha soltanto aperto il vaso di Pandora, qui c’è la necessità di un’idea diversa di fare Medicina. Allora, per concludere, io mi chiedo: una Medicina diversa è possibile? Io credo di sì.

Nelle chiacchierata che ne è seguita, Stefania ha messo ulteriormente a fuoco alcuni ambiti e bisogni su cui c’è ancora da lavorare e di cui vi riporto i punti salienti:

  • occorrerebbe migliorare la formazione medica sugli aspetti psicologici e relazionali con il cittadino-paziente;
  • per le persone con sclerosi multipla servirebbero maggiori attenzioni e risorse per l’assistenza domiciliare; una copertura farmaceutica che copra anche le patologie correlate; centri multifunzionali specializzati che diano più spazio alla riabilitazione e dove il cittadino-paziente trovi tutte le diverse competenze mediche necessarie al proprio percorso di prevenzione, diagnosi, terapia ed assistenza;
  • “salute è politica”, questo è ormai ben chiaro, e una sua riforma è molto difficile tuttavia anche se sono processi lunghi occorre avviarli e una pressione dal basso può aiutare.

Medici, operatori e amministratori della sanità siete avvisati. Per dirla con Dylan, the times they are a-changin’.

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