Sono stata indecisa fino all’ultimo sulla pubblicazione di questo post. Dopo le tante (troppe) discussioni a proposito di questo film non sapevo se fosse il caso di mettere nero su bianco certe considerazioni. Poi però pensavo anche che questo qui è il MIO spazio, la MIA valvola di sfogo, il contenitore delle MIE opinioni. Se non siete d’accordo ne possiamo parlare da persone civili, oppure potete girare i tacchi e abbandonare questi lidi, a voi la scelta.
Adesso cominciamo a parlare del film.
Per chi non l’avesse ancora capito, a me Dallas Buyers Club non è piaciuto molto. Quando mi sono avvicinata alla pellicola, ne avevo sentito parlare (e tessere le lodi) da moltissima gente, e mi ero persino sorbita premiazioni (i GG) delle quali non riuscivo a farmi una ragione.
Che film-capolavoro sarà mai, se riesce addirittura a redimere le capacità attoriali di un qualsiasi McConaughey e a renderlo persino il candidato di punta per la statuetta di miglior attore protagonista?
La curiosità regnava incontrastata su qualunque altro tipo di pensiero. Poi ho visto il film e ho scoperto di trovarmi davanti ad una delle cose che tollero di meno al mondo: un film ruffiano. Quella del film ruffiano è una delle categorie che si ripresentano puntualmente ogni anno alla stagione dei premi, con impostazioni e caratteristiche che sembrano costruite ad hoc, con in mano uno schema statistico dei vincitori degli Oscar. Rigorosamente tratti da storie vere, totalmente focalizzati attorno ad un singolo personaggio in funzione del quale tutto si muove, possibilmente conditi con una potente dose di storie di redenzione o rivalsa. Aggiungiamoci pure le cosiddette “lotte contro il MALEEE”, meglio ancora quando il male è rappresentato da agenzie governative o multinazionali (o gigantesche case farmaceutiche) per gridare al GOMBLOTTO. Ah, e non dimentichiamo la trasformazione fisica dei protagonisti, che se perdono/prendono più di 10 chili per una parte ricevono immediatamente in omaggio una batteria di pentole in acciaio inox e un set di nani da giardino coordinati con la statuetta.
Mannaggia a me che non ho fatto la dieta!!!
Naturalmente lo schema sopracitato non è necessariamente un male e diventa un fattore di fastidio soltanto nel momento in cui non si riesce ad andare oltre una sovrastruttura esageratamente esplicita ed impossibile da digerire, col rischio di mandare in secondo piano tutto il resto della baracca. Ed è lì che il mio cervello sbocca parlando di Dallas Buyers Club e dell’assurda nomination per la migliore sceneggiatura originale… Voi vi rendete conto che questi mi hanno piazzato DBC vicino a quel capolavoro di scrittura che è Her, vero? Per me è una cosa del tutto inesplicabile, se non in termini di attenzione mediatica rivolta verso il film grazie alla sorprendente e strabiliante performance di McConaughey.
Su McCoso (altresì detto l’Arancione dopo l’overdose di lampade abbronzanti che lo hanno portato a sbrilluccicare fosforescente sui vari red carpet) non ho molto da aggiungere rispetto alle parole eccezionali che si sono già spese nei suoi confronti: McConaughey regala davvero il meglio di sé con un’interpretazione sublime e potentissima, in un film che risulta tutto sviluppato allo scopo di esaltare personaggio e performance.
Discorso leggermente diverso vale per Jared Leto. Onde evitare equivoci e liti furibonde infarcite dei peggio insulti come mi è accaduto su Twitter, mi trovo costretta a replicare l’ormai solita premessa: io non ho nulla, ma proprio nulla contro il sig. Leto. Semplicemente non lo conosco, né come attore né come artista/cantante, per cui è assolutamente impossibile per me fare commenti o affermazioni sul sig. Leto come “persona” o “personaggio”, nulla posso dire di commisurato alla sua carriera. Quel di cui posso parlare, invece, è la sua performance in Dallas Buyers Club: un’interpretazione indiscutibilmente buona di un personaggio la cui caratterizzazione, oltremodo schiacciata dall’onnipresente ed eccezionale McCoso, risulta poco incisiva se non per le due “scene dramah” costruite ad hoc per colpire emozionalmente lo spettatore.
Bravo, bene, grazie, ma francamente ci sono state performance da non protagonisti ben più interessanti e complesse quest’anno…
In conclusione: Dallas Buyers Club è un film d’alto livello qualitativo che soffre tuttavia della presenza di una regia e di una sceneggiatura non particolarmente brillanti, senza infamia e senza lode. E’ un film che punta l’obiettivo verso l’intensità dei personaggi più che sulla storia o l’argomento delicatissimo della lotta contro l’AIDS in esso narrata, e che fa del coinvolgimento emotivo il suo punto di forza.
“I guess you’re handsome… in a Texas, hick, withe trash, dumb kinda way…”
Ci è piaciuto? Non molto, per i motivi sopracitati. L’impostazione acchiappapremi troppo evidente non mi ha permesso di godere a pieno del fattore emozionale sul quale si puntava. L’impressione dominante è quella di un film che, se non fosse stato per il sorprendente McConaughey, probabilmente sarebbe passato molto più in sordina…