DALLAS BUYERS CLUB [doppia recensione]

Creato il 15 gennaio 2014 da Ladri_di_vhs


Ci troviamo di fronte a uno dei titoli più apprezzati dalla critica e dal pubblico d'oltreoceano nel 2013. Lo dico subito, le aspettative non sono affatto deluse. Il film è ispirato alla storia vera di Ron Woodroof, un texano dedito agli eccessi della vita, che si ritrova malato di HIV per colpa di un rapporto non protetto con una donna. Siamo negli anni '80 all'inizio della diffusione del virus, il periodo in cui era la malattia dei froci e questo, per Ron omofobo fino al midollo, è motivo di discriminazione tra i suoi amici. I medici gli danno non più di trenta giorni di vita e per altro non hanno nessuna cura nemmeno per rallentare l'infezione. Non volendosi arrendersi, Woodroff inizia ad informarsi da solo e, dopo aver provato una medicina dannosa, si ritrova in Messico, dove un dottore radiato gli prescrive un cocktail di farmaci che sembra funzionare. Inizia ad importare illegalmente negli Usa questi farmaci per venderli alla comunità gay anche grazie all'aiuto di un transessuale di cui diventa socio e amico. Al principio era solo un modo per fare soldi ma, in seguito, lo scopo primario diventa una battaglia contro il sistema medico e gli interessi della case farmaceutiche. Dovevano essere 30 giorni... sono stati più di 2000.

La prova di  McConaughey è magistrale. Dimagrito fino a quasi diventare scheletrico, rende davvero convincente il dramma di un uomo gretto e rozzo che lotta per sopravvivere e per far ricredere i medici. Molto toccante il rapporto di amicizia con il transessuale che gli farà cambiare opinione sui gay. Da segnalare l'altrettanto ottima prova di Jered Leto, cantante dei 30 second to Mars, che interpreta il giovane transessuale. Il regista Jean-Marc Vallée fa un lavoro encomiabile senza troppi fronzoli, con una regia secca e asciutta, lasciando che la storia, già di per sé forte, scorra da sola senza voler aggiungere nulla. È di certo un gran film.
Pablo Lombardi

Dallas Buyers Club è, innanzitutto, la dimostrazione che Matthew McConaughey abbia deciso davvero di spaccare il mondo con le sue interpretazioni. Senza dilungarmi troppo, un paio d'anni fa ha capito che era giunto il momento di fare sul serio, e questa sua nuova tendenza, questa sua nuova attitudine, questo suo nuovo approccio si è espresso nel migliore dei modi prima con Killer Joe di Friedkin, poi in MUD di Jeff Nichols (che la distribuzione italiana, per ora, ha pensato bene di snobbare), due film che ritengo piccoli - ma non troppo - capolavori della moderna cinematografia americana.

Poi? Poi Matthew ha pensato bene di oltrepassare un limite, fisico prima di tutto. E ha deciso di accettare questa bellissima parte in Dallas Buyers Club. Dimagrito di una ventina di chili, decide di dare anima e corpo a un personaggio magnifico, quello di Ron Woodrof, menefreghista, omofobo, razzista, che si ritrova positivo al test dell'HIV, nel periodo di maggiore diffusione del virus in America, e a cui i dottori danno 30 giorni di vita. Inizia così in primis una lotta contro sè stesso, che inizia ad accettare il "diverso" che aveva sempre schifato in precedenza. Questo diverso che si palesa nella figura di Rayon, interpretato da un grande Jared Leto, darà la spinta a lui di cambiare atteggiamento nei confronti dei tanto odiati "faggots", i tanto odiati omosessuali. Darà la spinta, poi, per cercare cure mediche alternative (e più funzionali di fatto) a quelle proposte dalle case farmaceutiche, espressione più che mai in questo film di un fastidiosissimo problema di conflitto d'interesse.

Si sfocia nella commozione, nell'empatia per un personaggio del genere, bramoso di godersi una vita che è una, e con la paura di cercare di vivere per una vita che può spegnersi da un momento all'altro. Con la paura di non avere dato un senso alla sua vita, paura sacrosanta ma sventata dalla sua dedizione nel curare persone nella sua stessa situazione. Un film con alcuni momenti davvero potenti, che lasciano di stucco, basti pensare alla scena in cui lui realizza di avere davvero contratto il virus (dopo lo scetticismo con cui aveva accolto il responso dei medici), ripensando a una delle sue notti brave, mix di rapporti non protetti con prostitute ed eroina. Il gioco di montaggio in questa scena è ottimo, e per questo bisogna ringraziare il regista Jean-Marc Vallée che con una regia classica, pulita e volutamente dimessa a volte, riesce a raccontare questa storia senza patetismi, spremendo fino all'ultimo i suoi incredibili attori e dando vita a un film bellissimo. 

Un film che parla di discriminazione, di gente che volta le spalle ad amici decennali per un semplice sospetto, della rabbia di una provincia americana nei confronti di tutto ciò che non è inquadrabile, dell'ingiustizia percepita da migliaia di malati per non poter usufruire di proteine non dannose ma non approvate dalla FDA, dedita invece a vendere (o a spacciare?) il proprio prodotto, l'AZT. E anche qui c'è spazio per un riflessione, su chi siano i veri spacciatori tra Woodrof e la FDA, che ha il suo apice nello scontro verbale in cui le due parti non se le mandano a dire, finendo poi in tribunale dove il giudice si rende comunque conto della mancanza di buon senso della legga americana in materia. Infine, vorrei fare una considerazione sul finale: l'ho visto come un apice ideale di una storia che alla fine parla di redenzione, un finale catartico, depurativo, in cui Ron Woodrof torna Uomo (la U maiuscola non è un caso) e rende noi spettatori, perché no, un po' più umani.

Daniele Morganti