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Dalle pagine dell’Arkham Advertiser. La famiglia Linch. Capitolo 2

Creato il 16 febbraio 2016 da Johnny @Cornerhouseroma

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C L M S I U S E?

Ho perso mia figlia a causa di un male a cui nessuno a saputo dar un nome. Morì tra gli incubi, deperita e soffocata nel suo stesso vomito. Più volte mi aveva implorato pietà; di lasciarla morire, di non occuparmi più di lei. Ma io ho mai avuto il coraggio di farlo. Chi mai l’avrebbe avuto? Mi sono congedato dall’università per occuparmi di lei notte e giorno; mentre lei riusciva a rubare poche ore di sonno al suo male, io studiavo. Ricercavo, analizzavo; praticamente non dormivo più e tra una carezza al viso teso e madido di sudore di mia figlia e l’enciclopedia medica, alle volte mi dimenticavo perfino di mangiare. Avevo trovato qualche misero indizio che mi portarono a pensare che il male di mia figlia non fosse terreno ma qualcosa che provenisse direttamente dall’inferno. Erano libri di occulto nascosti in una biblioteca di famiglia. Una piccola bottega appartenente ai genitori di Carl Hopkins uno studente al primo anno che mi aveva colpito particolarmente per la sua vivace curiosità. In tutto questo, la cosa più grave di tutte che tra l’altro, ancora non ho svelato a Pete,  è che io suoi incubi sono identici agli ultimi giorni di vita della mia Lucy. Lui sogna una ragazza in preda agli spasmi, violentata da uomini deformi che muore ogni volta che la sogna. Quando una mia cara amica, la Dottoressa Fern, mi presentò il caso di quest’uomo che aveva perso la memoria e che aveva questi strani incubi, cominciai a seguirlo e ad aiutarlo nell’unica cosa che voleva fare: Dare la caccia ai suoi incubi. Scoprire cosa li generava e il punto da cui iniziare fu il marchio che aveva sul braccio. Lo stesso simbolo che ci ossessiona, lo stesso simbolo che abbiamo trovato su quel lucchetto in questa fredda stanza.

Questo della famiglia Lynch non è il primo caso che seguiamo. Per quanto avremmo voluto far rimanere tutto segreto le strane morti su cui stiamo investigando sono su tutti i giornali e in qualche modo la stampa stessa è venuta a sapere della nostra consulenza per il dipartimento di polizia di Arkham.

Gli elementi ci sono tutti per farci pensare che siamo di fronte allo stesso male che ha colpito mia figlia: Morti strane apparentemente, nessuna malattia conosciuta e la perdita della ragione da parte dei sopravvissuti. Ed ora questa runa che ne è l’ulteriore conferma. Che il culto sia maledetto. Questa runa, che ricorda un pentacolo, è il loro simbolo e l’aumento di questi ritrovamenti non può far altro che farci pensare che hanno ripreso a muoversi e a farlo speditamente. Secondo alcuni frammenti di antichi libri che ho rinvenuto in quella biblioteca si dice che a settembre del 1930 le stelle saranno allineate è la dormiente divinità che ora giace sotto l’oceano si risveglierà e riconquisterà il mondo. Il diavolo a confronto potrebbe sembrare un dilettante. Il male degli uomini si rovescerà su di loro. L’odio, la collera ed infine la morte ci avvolgeranno tutti. Ancora mi chiedo come può pensare Pete di fermare tutto questo da solo. Eppure appare evidente come sia l’unico scopo che lo smuove ogni mattina. Non ha un casa, non ha nulla, non ci sono tracce del suo passato. Come se non fosse mai esistito. Eppure è così convinto che la causa del suo male sia proprio tutto questo. Chissà cosa si cela nella sua mente. Da quale oscuro passato la sua mente sta cercando di proteggerlo?

***

A seguito dell’urlo della dottoressa Withdrop, Pete con il suo cane, tornarono di corsa indietro, Duke abbaiava fortissimo e appena il suo padrone gli ebbe aperto la porta si scaraventò giù dalle scale come una furia e attaccò l’uomo che si trovava in piedi in quella stanza accanto al corpo della la professoressa che giaceva a terra. Era ancora viva? L’uomo, nonostante i feroci morsi del cane, disponeva incredibilmente di una grande forza e con una spinta molto violenta si liberò della stretta di Duke lanciandolo a terra che guaì accasciandosi sul tappeto d’ingresso accanto al corpo della donna.  Pete non perse tempo e si lancio verso l’uomo cercando di buttarlo a terra, di immobilizzarlo. Purtroppo per noi non ebbe successo. I corpi dei due uomini erano avvinghiati l’un altro cercando resistere alle spinta reciproca in quel precario equilibrio. Io ero troppo lento per potergli essere d’aiuto, scesi le scale più in fretta che potei ma fui sempre in ritardo. Pete stava per essere sconfitto con le spalle al muro e le mani di quell’uomo intorno al suo collo. Stava cercando un appiglio, tra il mobile di legno e gli oggetti che vi erano appoggiati sopra. Si dimenava con le forze che gli rimanevano, avrebbe perso i sensi da li a breve. Provai a colpire l’avversario di Pete con il mio bastone ma non si curò minimamente dei miei colpi così deboli e inutili. Cosa poteva fare un debole vecchio. Era la fine. Per Pete ora e per noi sicuramente dopo. Chiusi gli occhi.

Il grande orologio sulla destra suonò. Quattro colpi, quattro rintocchi. erano le quattro del pomeriggio.  L’uomo, mi diede l’impressione che quel orologio l’avesse infastidito, con uno scatto violento strappò un lembo di pelle dal collo del mio compagno e lo buttò a terra sanguinante. Aveva perso i sensi.

Ora si voltò verso di me.

Il suo volto, mio dio il suo volto. Nonostante i segni evidenti dell’insonnia e della fame su quel volto, lo potei riconoscere, l’avevo visto pochi minuti fa in quella foto. Linch

“Lei è il signor linch” gli dissi tremando come la mia voce.

“Andate via” rispose con l’affanno con un tono innaturale.

“Qui non c’è niente per voi”.

I suoi occhi erano insanguinati la sua pelle gialla e puzzava di cadavere. Era disgustoso. Io ero come pietrificato. Cosa dovevo fare.

“Andate via” il suo corpo fu assalito da uno spasmo e con le sue braccia si protesse lo stomaco. Scattò ancora. Aveva Paura. Provava dolore.

All’improvviso il suo corpo fu colpo da un liquido che iniziò a bruciargli la pelle. Non mi ero accordo che la dottoressa Withdrop aveva ripreso i sensi e gli aveva gettato qualcosa addosso. Una sostanza acida o cosa? L’uomo con la pelle in fumo mi venne addosso e con un colpo della sua spalla mi scanso, corse via cercando di raggiungere le scale verso l’ala sinistra della villa. Urlando. Accasciandosi poi sulle scale.

“Devi morire” urlò in lacrime la scienziata che cadde sulle sue stesse ginocchia. “Devi Morire Mostro.”

Pochi istanti dopo, con un fragore indicibile tutte le vetrate dell’ingresso caddero a pezzi. Una dopo l’altra ed io immobilizzato non potei far altro che guardare accadere tutto. Tutto era troppo veloce per me. Avevo paura. Tutto stava accadendo troppo in fretta per permettermi di reagire adeguatamente. Stavano lanciando pietre contro le finestre o cosa? Il pavimento si stava riempiendo di vetri, sarebbe stato pericoloso muoversi senza prestare attenzione a dove si mettevano i piedi come avrei potuto scappare salvando anche le due persone che erano con me?. Infine andò in frantumi anche la finestra centrale sopra il portone di ingresso. Alzai lo sguardo, stupefatto. Ora sul infisso si reggeva una figura strana completamente nera. Sembrava un uccello ma mostruosamente grande. No, non poteva essere vero non esistono corvi così grandi. Non potevo credere ai miei occhi Eppure appariva proprio così. Poi di scatto si alzò in piedi e saltò sul pavimento. Era un uomo, oh mio dio, pensai dentro di me, Aveva un mantello e indossava una strana maschera che gli copriva tutto il volto ad eccezione per la bocca. Era nera come il resto del suo abbigliamento. La forma del naso ricordava la forma di un becco ecco perché mi sembrò un uccello gigante.

“Chiudete gli occhi o brucerà molto” disse, rivolgendosi a me e alla dottoressa. La sua voce era molto cupa e graffiata. Gettò quindi un boccetta in terra  che rompendosi riempi la stanza di uno strano gas ed i miei occhi si chiusero alla fine da soli.


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