“Guardando la sua ombra sul muro, gli parlai della situazione in cui ero venuto a trovarmi. Era la prima volta dopo tanto tempo che mi aprivo così con qualcuno. Raccontai tutto, con la lentezza del ghiaccio che si scioglie, impegnando tutto il tempo necessario. Gli dissi che riuscivo a mandare avanti la mia vita, ma che non arrivavo da nessuna parte.
E intanto invecchiavo. Che ero incapace di amare davvero qualcuno, che avevo dimenticato cosa volesse dire provare quella fitta al cuore. Che non sapevo neanch’io cosa cercare. Che cercavo di dare il massimo nelle cose che facevo, ma lo sforzo sembrava del tutto inutile. Sentivo il mio corpo perdere di elasticità, i muscoli irrigidirsi progressivamente, e questo mi faceva paura. Gli dissi anche che lì era l’unico posto al quale mi sentissi collegato, seppure da un filo sottile. Non sapevo nemmeno dov’era, ma sapevo di farne parte. Appartenevo a quel posto”.
(Dance Dance Dance, Murakami Haruki)
“Eppure sentivo che non sarei tornato quello di prima. L’indomani sarei stato una persona diversa. Anche se nessuno intorno a me probabilmente se ne sarebbe accorto. Dato che esternamente non era cambiato niente. Ma dentro di me qualcosa era bruciato, e non esisteva più. Era scorso del sangue. Qualcuno, qualcosa che era dentro di me se ne è andato. La faccia nascosta, senza una parola. La porta si è aperta, la porta si è richiusa. La luce si è spenta. Questo è l’ultimo giorno per la persona che sono. Il mio ultimo tramonto. Spuntata l’alba, il me di adesso non ci sarà più. Nel mio corpo entrerà un altro.”
(La ragazza dello Sputnik, Murakami Haruki)