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Daniele Gatti: attore un mistero da non svelare. Intervista a cura di Alessia e Michela Orlando

Creato il 04 settembre 2010 da Stefanodonno
Daniele Gatti: attore un mistero da non svelare. Intervista a cura di Alessia e Michela Orlando

Lei:

Ascolta, tu vedi l'universo spostarsi come un inesorabile cronometro, ma se guardi più intensamente scoprirai che esso nasconde una qualche forma di meraviglia.

( da: La zattera, atto unico di Giorgio Sangiorgi, scaricabile gratuitamente in: http://www.innovari.it/scet.htm )

DANIELE GATTI: ATTORE

UN MISTERO DA NON SVELARE

Una Lectio Magistralis di Daniele Gatti:


una intervista in cui si parla del viaggio a Lourdes di un laico: Mario Soldati; di musica; di come si impara la professione dell’attore; dove si dice molto e tanto altro lo si tiene celato, così come fa il cielo con parte delle sue regole.

Scrive Baudrillard, e ce lo insegna Umberto Galimberti nel suo Le cose dell’amore (pag. 54): L’osceno è la fine di ogni scena […]. Se tutti gli enigmi sono risolti, le stelle si spengono. Se tutto il segreto è restituito al visibile, all’evidenza oscena, se ogni illusione è restituita alla trasparenza, allora il cielo diventa indifferente alla terra […]. Non è più una prostituzione sacra, ma una sorta di lubricità spettrale.

Per noi l’obiettivo di una intervista è, di solito, lasciare intravedere ciò che si cela dietro un corpo, dietro le parole, che è molto più affascinante dell’ostentazione in piena luce. Se, poi, l’intervistato è un attore, tutto ciò assume ancor più rilievo e forse anche un senso simbolico.

Nel caso di Daniele Gatti il gioco si è sviluppato in maniera singolare: non c’era in programma l’intervista. Il primo contatto è da ascrivere tutto ai suoi meriti. Ha detto, più o meno: Michela, so che sei a Grenoble, ci sono anche io e ci resterò fino a gennaio. Mi farebbe piacere coltivare qualche progetto con te, da realizzare nelle classi in cui insegni l’Italiano. È bastato un attimo per capire chi ci fosse al di là dello schermo, dietro una mail; un attimo solo per svelare il peso specifico di un Attore: il tempo di gettare uno sguardo al suo sito, alle foto, al curriculum. Eppure, come tra un attimo chiunque potrà leggere, Daniele sa che non si finisce mai di imparare. Ce lo insegna, infatti, quando a domanda risponde: Sei molto gentile, ma non ritengo di aver raggiunto alcun livello particolare. La carriera artistica si costruisce giorno per giorno, è un continuo cammino e come dice qualcuno: “il viaggio è la sola destinazione!” Di strada da fare ne ho tanta, lo so bene.

Naturalmente il cammino artistico non è dissimile dal cammino nella vita e Daniele mostra l’attaccamento alla vita nella voglia di essere solare, di dare rilevanza alle zone luminose che lo pervadono; così come fa quando vuol continuare a essere bambino (operazione agevolata dalla compagnia dei bambini). È, la sua, una passione limpida diretta verso la vita e l’arte, che ci fa ricordare lo Stendhal: La passione non è cieca è visionaria (L’amore), che lo stesso Umberto Galimberti usa come esergo a pagina 113 del suo Le cose dell’amore. Ma la passione non sottrae a Daniele Gatti la capacità di essere concreto e di vedere lucidamente, ad esempio, i problemi degli attori in Italia. Egli ci ricorda gli antichi greci, che scoprirono la bellezza quando si avvidero dell’esistenza dell’Universo. Fu questa scoperta, l’esistenza di un “ordine bello”, ciò significa Kósmos, a far capire l’importanza di emulare l’equilibrio che si rinviene nei cieli. È da ciò che, peraltro, nasce la voglia di dare origine alla filosofia; l’urgenza di darsi delle regole che incidessero anche nei rapporti sociali, così come nei cieli si rispettano delle regole che danno l’equilibrio. Ciò accadde anche nel mondo dell’arte: affinché l’opera sia davvero d’arte è necessario che siano presenti elementi formali simmetrici. Elementi che si rinvengono nei cieli. A noi pare che a questa regola aurea alluda Daniele Gatti quando ci narra della sua esperienza. E ci pare lo faccia anche quando non svela quali siano i suoi desideri. Ma il desiderare non allude forse alle stelle? La risposta è si; ed è tanto vero e affascinante che anche nei cieli vi sono ancora misteri da svelare. È ciò che ci fa ancora alzare lo sguardo ed è per questo che l’Attore Daniele Gatti può ancora interessarci: anche per quel che non dice e non mostra della sua personalità.

L’INTERVISTA

D. Qual è il luogo di Genova che più rappresenta le zone oscure di te?

Preferisco dire qual è il luogo di Genova che più rappresenta la mia parte luminosa. Si tratta di un parco bellissimo legato alla mia infanzia: Villa Durazzo Pallavicini a Pegli.

D. E quello dove emergono più facilmente, almeno in parte?

Anche a questa domanda mi piace rispondere in senso “luminoso”. Direi che più che di un luogo si tratta di una categoria di persone: i bambini. Quando mi trovo in compagnia dei bambini sto bene, hanno la capacità di fare emergere immediatamente il mio lato solare ed il bambino che è in me...

D. C’è un altro luogo al mondo che ti piacerebbe avessimo usato quale set delle precedenti domande?

Non saprei

D. C’è bisogno del tuo orecchio. Ascolta questa canzone. Basta il primo minuto. Ti va di recitarci l’incipit di ciò che ti richiama alla mente o dirci un tuo pensiero?

http://www.youtube.com/watch?v=31AxHeYEDxc

Bella canzone, grazie, non la conoscevo. Mi ha ricordato un viaggio in moto di qualche anno fa. Me ne andavo verso Sutri. Ricordo la strada fitta di alberi e il sole che filtra tra i rami, magnifico.

D. E quest’altra cosa ti suggerisce?

http://www.youtube.com/watch?v=HM_AiUBAwM0&feature=related

Questa canzone invece la conoscevo!…stimola la mia voglia di giocare.

D. L’orecchio, la voce, il linguaggio gestuale, quanto contano per un attore?

Sono gran parte di ciò che serve non solo ad un attore, ma più in generale a ciascun uomo per esistere. L’ascolto di sé e dell’altro, i gesti anche piccoli, il calore di una voce sono poi le stesse cose alla base dell’innamoramento, sono essenziali.

D. E la carne, il corpo?

Nel linguaggio dei gesti includo anche il corpo. Spesso il corpo parla di più quando è fermo, immobile, non solo sul palco o nel cinema ma anche nella vita di tutti i giorni. Anche quando è morto il corpo parla. Pensa alla pittura. Guarda la meravigliosa Pietà di Caravaggio. Qui l’artista raffigura Gesù deposto dalla croce. E’morto, il suo corpo ha un peso e continua ad esistere, ad emanare luce, e ci ricorda che Dio “si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Credo che quando si dice che “il corpo è il tempio dell’anima” si intenda anche questo e per questo va rispettato, onorato. Questo corpo, il corpo, ci parla. Sempre.

D. Dal tuo curriculum notiamo (senza meraviglia, giacché anche noi con Ruggero Cappuccio e Claudio Di Palma partecipammo a uno stage di fioretto con l’olimpionico napoletano del 1990 Sandro Cuomo) che nel 2006 hai partecipato a un corso di scherma (spada). È utile farlo per il teatro e l’essere attore in genere?

L’idea di sperimentarmi in cose sempre nuove mi stimola molto e nello sport mi annoio facilmente, così ho spesso voglia di cambiare, anche per acquisire nuove abilità che potrebbero essermi utili. La scherma la conoscevo già per via di mio fratello. Mi ci accostai per preparare un provino di cinema nel quale richiedevano quest’abilità. Del film non se n’è fatto niente, ma alla spada mi sono appassionato e ho continuato per due anni. E’uno sport bellissimo e ritengo sia una grande disciplina per tutti coloro che la praticano e in modo speciale per l’attore. L’attenzione deve essere totale, è richiesto di stare sempre sull’altro, senza distrarsi mai, come nella recitazione. Ogni azione permette tante possibilità di reazione, c’è ritmo, ma senza alcuna fretta. La cosa che più mi piace di questo sport è il rispetto per l’avversario e penso che sia fra i migliori sport che si possano far praticare ad un bambino.

D. Per divenire un bravo attore e giungere ai tuoi livelli, basta seguire studi accademici, partecipare a corsi-stage, laurearsi, andare spesso a teatro, leggere molto? Potrebbe essere utile andare a bottega?

Sei molto gentile, ma non ritengo di aver raggiunto alcun livello particolare. La carriera artistica si costruisce giorno per giorno, è un continuo cammino e come dice qualcuno: “il viaggio è la sola destinazione!” Di strada da fare ne ho tanta, lo so bene.

Il mio percorso artistico è un po’ inusuale perché sono entrato alla Scuola di Recitazione che già avevo lavorato un po’, ero stato “a bottega”, come dici tu, e questo ha reso tutto più difficile. Mi sentivo senza radici e dovevo cercare di spogliarmi di tutto ciò che avevo malamente appreso per rendermi disponibile, malleabile all’insegnamento. E’stata dura. Perché quando si è insicuri si è anche superbi. In questo senso penso che la Scuola del Teatro Stabile di Genova grazie ai suoi bravi insegnanti mi abbia davvero formato dandomi degli strumenti che giorno per giorno faccio miei, adattandoli e arricchendoli con le mie esperienze.

Penso che studiare, leggere molto, andare a teatro e al cinema siano cose molto importanti, tutto ciò che ci fa crescere e riflettere è necessario, e non solo per l’attore! L’attore però mettendo in scena un personaggio con le circostanze che gli sono date -per come la vedo io- si trova ad incarnare (sul palco o dietro la telecamera) vari archetipi dell’uomo nei diversi aspetti della sua personalità e questo comporta una grande responsabilità e anche una disponibilità all’approfondimento. Certamente non si può vivere tutte le vite, ciascuno di noi ha dentro di sé l’essenziale da cui partire per lavorare su un personaggio, ma per quanto mi riguarda, ho sempre trovato che coltivare i miei molteplici interessi mi è stato d’aiuto sul lavoro, per capire meglio le circostanze di un personaggio e le sue istanze, le ragioni che lo muovono e gli fanno dire certe cose. In fondo, come dice Neruda “La mia vita è una vita fatta di tutte le vite”.

Le raccomandazioni servono o danneggiano anche chi le riceve?

Circa le raccomandazioni non ti so dire perché non ne ho mai ricevute, mi sono sempre sudato quello che ho fatto e - senza sentirmi migliore – ti confesso che ciò mi procura una felicità piena. A volte è capitato che registi che si sono trovati bene con me abbiano segnalato il mio nome ad altri per un progetto. Questo è bello, è un segno che hai lavorato bene, seriamente. Una conferma importante. Poi c’è sempre da superare l’audizione. Credo che quello delle raccomandazioni sia un problema molto italiano e, comunque, se non c’è del talento alla base, le raccomandazioni non possono garantire una carriera duratura. Il cielo è pieno di meteore, ma per costruire la casa sulla roccia la strada è lunga e bisogna lavorare molto.

D. Improvviso cambio di scena: nessuno dubita che Mario Soldati sia tra i più fini ed eleganti scrittori che l’Italia abbia mai avuto. Scrisse anche di un viaggio UNITALSI in treno, verso Lourdes (abbastanza critico rispetto al luogo geografico e alle iniziative che vi si assumono); si occupò ad altissimi livelli di cinema; amò gli Stati Uniti d’America. Abbiamo ragioni per credere che ti apprezzerebbe molto. L’ipotesi è questa: è ancora tra noi, cosa scriveresti, sottolineandolo, nel tuo curriculum per proporgli un lavoro?

Non sapevo che Soldati avesse scritto anche di un viaggio a Lourdes, ma conosco questa sua frase: “Tutto il mondo soffre di avere perduto la religione. E quasi tutta la poesia di oggi non è, in un modo o nell'altro, che il rimpianto di una religione perduta”. Non so se fosse realmente critico rispetto a Lourdes, ciò che è vero è che chi affronta quel pellegrinaggio è alla ricerca di un incontro con Dio. Come scrivo nel mio libro, Lourdes è un luogo pieno di contrasti, dove, contrariamente a come avviene nel mondo, le persone sofferenti e gli ammalati, riscoprono la gioia di esistere nell’abbraccio della Vergine Maria. Personalmente in quello stesso luogo anche io ho vissuto un’esperienza intima che amo definire di “conversione”, ma questo te lo racconto un’altra volta…Per rispondere alla seconda parte della tua domanda, penso che se Mario Soldati fosse ancora tra noi gli chiederei innanzitutto di incontrarlo per ascoltare cosa ha da raccontare, poi gli farei delle domande. Infine gli direi che il cinema italiano ha ancora tanto bisogno di lui…

D. Cosa gli proporresti o vorresti ti proponesse?

Beh, un ruolo in un suo film. Inoltre gli chiederei dei consigli sulla base della sua esperienza.

D. A chi altri vorresti proporre una tua idea? E da chi vorresti essere diretto?

Sono tanti i registi con i quali vorrei lavorare o lavorare ancora.

D. Immaginiamo che giungerai alla regia (crediamo tu non l’abbia ancora fatto), prima o poi. Hai in mente qualche progetto?

In realtà ho nel sacco qualche assistenza alla regia e qualche regia mia. Ti dirò che mi piace molto dirigere, accompagnare gli attori alla scoperta di un personaggio. Per questo anche il lavoro di coach mi gratifica.

Al momento sto muovendo i primi passi nella produzione. Ci sono progetti che desidero realizzare, cose che amerei fare e magari non vengono prodotte, così cerco di riempire questo vuoto, anche se fare produzione in Italia non è semplice. Attualmente in questo senso sto lavorando ad un atto unico che ho già presentato con successo in occasione di un evento estivo e poi alla produzione di un testo su San Francesco d’Assisi che ho tradotto e adattato dal francese, e che mi vedrebbe diretto da Jurij Ferrini. Ma parlarne è ancora presto…

D. Credi sarebbe possibile realizzarlo oggi, in questo momento esatto? Quali gli eventuali ostacoli?

Certo che sarebbe possibile! Più che di ostacoli parlerei di ritardi dovuti a ragioni burocratiche, ritardi nell’erogazione dei contributi…ma posso dire di aver trovato anche tante persone in gamba che hanno preso a cuore il mio progetto e fanno quello che possono per sostenerne il valore.

D. Iniziamo un viaggio insieme. Sei bendato. Sulla pelle ti giunge la sensazione che sia aumentata l’umidità. Ti ritrovi in una cella. Vedi solo dei tetti. Capisci che sei a Venezia. Ti ricorda qualcosa?

Sono Otello, alla fine del dramma?…

D. Intendi fuggire. Non puoi fare altro, per evitare il plotone di esecuzione. Hai a disposizione pochi minuti. La pesante porta è aperta. Ma lo è anche l’unica finestra, quella che ti porta sui tetti, appunto. Puoi scegliere anche un’arma da portare (qualcuno le avrà lasciate magari per tenderti un tranello) tra: un coltello arrugginito e sbrecciato; una pistolaccia; una fionda. C’è anche una corda. Quale scegli? Segui le tracce lasciate da Casanova o che fai?

Se sono il personaggio che hai in mente tu prendo la corda e mi calo dalla finestra, anche se molto dipenderà dall’altezza, dato che soffro di vertigini…se invece sono Otello, penso che morirò di dolore.

D. Quale direzione prendi? In quale città e in quale epoca vorrai ritrovarti fra due giorni insieme al cavallo che trovi nei pressi?

Gerusalemme, al tempo di Gesù di Nazareth, vorrei poter ascoltare la sua voce una volta…

D. Il destino, se vuoi il caso o una tua decisione, in un salto spazio-temporale, ti portano nell’attuale Grenoble. Sei davanti a venticinque ragazzini di scuola primaria per insegnare i rudimenti della recitazione. E sono loro a darti la prima lezione: noti i vari colori e hai la prova concreta di quanto il colore della pelle sia un falso problema. Da dove cominci per spiegargli il mondo del teatro? E il mondo tout court? E le ingiustizie?

Beh, mi è già capitato e prima di tutto domanderei loro cosa pensano che sia il teatro…quanto alle ingiustizie del mondo se fanno la scuola primaria ne sanno sicuramente già qualcosa! Poi, credo che li farei salire uno ad uno sulla cattedra, per fargli cambiare il punto di vista, come ne: “L’Attimo fuggente”, film che adoro!

D. Puoi portare in Italia quei venticinque alunni francesi. Dove li porteresti? Chi gli faresti conoscere? Cosa gli faresti mangiare?

Penso che li porterei a vedere il mare dall’alto di una montagna, in Liguria Il golfo visto così sembra un grande teatro antico, no? Circa il mangiare… credo che le trofie al pesto e un pezzo di focaccia genovese almeno una volta nella vita debbano assaggiarli!!

D. Sei certo che quei ragazzini avranno un futuro nel mondo dell’arte. Consiglieresti loro il teatro?

Se vivessero in Italia non credo. Gli attori nel nostro Paese non hanno diritti, nessuna tutela. Sebbene gli intermittenti dello spettacolo siano moltissimi, a nessuno sembra interessare. E certi reality alimentano l’impressione che questo sia un mestiere che tutti possono fare. In Inghilterra e in Francia c’è un’altra dignità anche se il problema esiste. Poi distinguerei la recitazione come professione, che comporta una grande passione e molto sacrificio (non amo molto suddividere in teatro, musical o di cinema, per me l’attore deve spaziare nelle diverse discipline se ne ha la possibilità), dall’hobby che si può fare a livello amatoriale, per se stessi, per conoscersi meglio e più a fondo. Nel primo caso, comunque, è bene non prendersi troppo sul serio!

D. C’è differenza tra la parola a teatro, in televisione, a cinema?

Direi di si. Sono linguaggi completamente differenti perché si servono di mezzi differenti e perché parlano in luoghi diversi. Mi spiego meglio. A teatro il pubblico è lì con l’attore, il corpo e la voce sono predominanti, anche il silenzio lo è. La luce. Al cinema il pubblico è più passivo perché è il regista che sceglie cosa fargli vedere, su cosa spostare la sua attenzione. Ma non è negativo perché nel tragitto verso casa, il film, se è bello, è ancora dentro di noi. Recentemente ho avuto la fortuna di vedere al cinema il primo “Francesco d’Assisi” della Cavani. L’impatto è stato così forte che non sono riuscito a parlare per un giorno intero. Non una parola. La televisione invece deve tenere conto di tante variabili, fra cui la disattenzione di chi ascolta. Chi fa televisione non può prescindere da questo. Anche se alcuni prodotti, sempre meno, sono di buona qualità. Sempre di più, (a mio parere purtroppo), la televisione è continuamente accesa nelle nostre case quasi fosse una della famiglia, con i problemi che questo comporta. Ti confesso che ho scelto di non averla.

D. Ci dici i nomi di tre autori, di tre attori-attrici, di tre teatri da spedire nell’Universo per dire di noi, di questa Terra?

Mammamia. Per dire di noi come siamo oggi? Meglio di no… Se invece intendi nella storia, vediamo… per gli autori: Dante Alighieri, Pascoli e Montale. Per gli attori te ne dico quattro: Laurence Olivier, Klaus Kinskj, Eleonora Duse e Jeremy Irons. Quanto ai teatri non riesco a scegliere.

D. C’è un testo che vorresti recitare e non ti è stato ancora possibile farlo?

Sì, ma sembra che presto ce la farò!

D. Ci avviamo al termine. Facciamo una ipotesi concreta. Abbiamo un testo che l’autore ci ha messo a disposizione dicendoci testualmente: questo testo è a vostra disposizione; fatene ciò che vi va. Io sospendo il progetto di metterlo in scena a Bologna.

Noi lo abbiamo letto con attenzione e giacché vi gioca un ruolo fondamentale il mare, crediamo debba essere letto da un attore che sappia riconoscere l’odore della salsedine tra mille altri. Ecco: noi decidiamo di farlo leggere a te. Tu, che non ci conosci e nulla sai dell’autore, lo leggeresti davvero?

Certamente, ne sarei lusingato.

Valuteresti la possibilità di metterlo in scena senza pregiudizi?

Valuterei. Se non mi piacesse però, lo direi.

Sarebbe più semplice se a proportelo fosse, ad esempio, Alessandro Gassmann?

Per valutare, generalmente, uso altri criteri…vuoi chiedermi qualcosa? J

Quali potrebbero essere i problemi da dover affrontare e risolvere, se il testo potesse non solo essere adatto a te ma avesse anche serie possibilità di successo?

Se fosse così non ci sarebbero problemi da affrontare, sarebbe molto bello, no?

E qualora si decidesse di allestire una messa in scena, sarebbe necessario un piano di comunicazione professionale o basterebbe il tam tam?

Bisogna chiarire cosa si intende per professionale. Quando lavoro preferisco un’equipe di attori professionisti per tante ragioni, ma soprattutto per rispetto nei confronti del testo, del lavoro e di me stesso. Perché recitare per me non è solo una passione, è anche un lavoro e il lavoro ha delle regole. Per divulgare l’evento certamente il tam-tam è importantissimo, lo uso spesso anche io.

D. Ultima domanda. E stavolta desideriamo che tu torni bambino: ecco, questa è la vera Lanterna Magica. Sfrega pure, sai cosa sta per succedere…

Si, ma non lo dico…

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