Dans la maison - Nella casa.

Creato il 19 aprile 2013 da Valentina Orsini @Valent1naOrs1n1

François Ozon non ha mai fatto nulla per nascondere la sua smodata ipercinefilia. Qualche esempio? In 8 donne e un mistero (2002) il numero di citazioni era tale da tenere testa anche al Quentin Tarantino più sfrenato; Angel – La vita e il romanzo (2007) era un omaggio e parallelamente un riadattamento contemporaneo dei grandi melodrammi hollywoodiani degli anni Quaranta e Cinquanta. Il gioco di rimandi metacinematografici si fa ancora più sottile, e più ricco, nel suo ultimo film, Nella casa, liberamente tratto dal testo teatrale “Il ragazzo dell’ultimo banco” di Juan Mayorga

Protagonisti della vicenda il professore di letteratura francese Germain (Fabrice Luchini) e il suo allievo Claude (Ernst Umhauer), un sedicenne con uno spiccato talento per la scrittura. Germain è un romanziere mancato, sposato con una gallerista in disgrazia (Kristin Scott-Thomas), Claude un ragazzo di estrazione umile, orfano di madre, che nei suoi compiti a casa racconta a puntate il suo interesse per la famiglia unita e borghese del suo compagno di classe Rapha (Bastien Ughetto). Il talento dello studente sembra ridestare il professore, che ritrova il gusto dell’insegnamento e incoraggia l’allievo a proseguire il racconto, a registrare gli eventi a cui assiste ogni volta che si reca in casa del compagno per aiutarlo nei compiti di matematica. Maestro e alunno diventano complici di un gioco che diventa troppo grande nel momento in cui l’interesse di Claude per l’osservazione della vita familiare si trasforma in un’attrazione morbosa nei confronti di Esther (Emmanuelle Seigner), la madre di Rapha. Ed è l’inizio del caos. Ozon gioca con lo spettatore, presentando inizialmente una distinzione netta, limpida, tra realtà e finzione: il primo racconto di Claude viene letto interamente da Germain, il secondo è nuovamente letto da Germain ma stavolta la lettura si trasforma in commento fuori campo mentre il racconto viene visualizzato. Con il procedere della storia la separazione tra i livelli narrativi scompare, realtà e finzione vengono poste sullo stesso piano fino a intrecciarsi e a confondersi. Quest’alternanza offre al regista lo spunto per tutta una serie di riflessioni: innanzitutto sui processi creativi e sui modi e sui fini del narrare;in secondo luogo sul rapporto tra artista e committente e tra creatore e fruitore;infine, e soprattutto, sulle fonti di ispirazione per i creatori di storie. E qui entra in gioco la cinefilia del regista francese. Come il suo personaggio Germain si nutre di Flaubert e Dostoevskij, Ozon si nutre di cinema. Ed ecco che in Nella casa ritroviamo la proverbiale scopofilia di stampo hitchcockiano nell’irrefrenabile impulso di Claude di spiare la famiglia di Rapha dal buco della serratura, le apparizioni di Germain nei momenti di creazione di Claude sono un omaggio a Bergman e Woody Allen e ricordano anche le fantasie allucinatorie di certi capolavori di Jacques Rivette, l’intrusione di Claude nella famiglia di Rapha e poi in quella dello stesso Germain è un chiaro riferimento a Teorema di Pasolini. E c’è poi quel pizzico di satira antiborghese alla Chabrol, il feticismo di Claude non può non ricordare Buñuel, e così via…Se il film non si avvita su se stesso quando il passaggio tra realtà è finzione diventa sempre meno percepibile è grazie a una capacità di scrittura fine e coinvolgente, se non si grida al plagio è perché la mescolanza di influenze cinematografiche è adattata con sapiente originalità e con un gusto del racconto valorizzato da uno stile innegabilmente personale e riconoscibile. Non si grida al capolavoro perché i richiami provengono dal cinema “alto”, quindi facilmente individuabili. Perciò non si corre il rischio di incappare in quegli errori di valutazione che a volte fanno spellare le mani al cospetto di film che di originale hanno poco o niente. In sostanza, Nella casa è un film d’autore che gioca a carte scoperte: se si accetta di lasciarsi andare alla finzione e non porsi troppe domande può essere un’esperienza affascinante. Chi rifiuta può sempre rifugiarsi (non a torto) dietro il topos critico dell’esercizio di stile. Scritto da Luca Iuorio



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