Dopo aver rivisto per l’ennesima volta Gli uccelli, capolavoro indiscusso del genio Alfred Hitchcock (senza peraltro riuscire a cambiare canale nemmeno durante l’interruzione pubblicitaria, per paura di perderne qualche secondo), mi ero finalmente deciso a leggere il racconto che aveva ispirato il film, scritto appunto dalla du Maurier. A dire il vero, altre due pellicole di Hitchcock erano state tratte in precedenza da opere della stessa autrice, ovvero La taverna della Giamaica e Rebecca, la prima moglie. Quest’ultima aveva anche fruttato al grande regista inglese il suo unico Oscar, nel 1941, ma la potenza visiva del film Gli uccelli è superiore, bisogna ammetterlo.
Nonostante fosse soltanto il 1963, Hitchcock si avvalse di notevoli effetti speciali per l’epoca. Uccelli ammaestrati, un’atmosfera di profonda inquietudine e attenzione maniacale per i dettagli (per esempio le 32 singole inquadrature della scena finale) contribuivano poi a fare del film un prodotto sopraffino, unico, mai visto prima di allora. Gli uccelli richiese tempi di lavorazione estenuanti e comportò vari stop, tra cui quello dovuto all’esaurimento nervoso della protagonista femminile, Tippi Hedren. Rivedendolo oggi, si capisce tutta la sua complessità tecnica ed è facile intuire le difficoltà incontrate al momento delle riprese, dato che ancora non si poteva contare sull’ausilio dell’animazione computerizzata. “
Ma questa è un’altra storia”, come direbbe il barista filosofo di Irma la dolce.
Ciò che conta è che Hitchcock riusciva sempre nel suo intento, e in questo caso riuscì a trarre spunto da un ottimo racconto, prendendone a prestito l’idea centrale (quella appunto dell’attacco degli uccelli, anche se la storia, i personaggi e l’ambientazione del film sono stati riscritti ad hoc), per farne un vero e proprio horror, in cui la natura si
Il terrore per l’arrivo minaccioso degli stormi di uccelli è sottolineato dalle caratteristiche psicologiche dei personaggi, che emergono già dalle prime pagine. Forte anche l’impronta politica che l’autrice vuole lasciare. A un certo punto, infatti, di fronte all’inspiegabilità di un simile evento, si accampano improbabili ipotesi, come quella che vorrebbe gli uccelli impazziti perché avvelenati dai russi. Più avanti invece si invoca l’intervento americano come deus ex machina (l’autrice era inglese e la storia originale si svolge in patria, a trecento miglia da Londra, mentre nel film il tutto avviene a Bodega Bay, vicino a San Francisco), tirando in ballo l’alleanza fra le due nazioni e sostenendo che “Sicuramente l’America farà qualcosa”.
Il finale dell’opera letteraria è cupo e pessimista, forse meno aperto alle interpretazioni rispetto a quello del film, in cui i protagonisti riescono a salire sull’auto e ad andarsene lentamente, sfruttando un momento di tregua da parte degli uccelli. Ma è anche vero che lo stesso Hitchcock non volle che comparisse la scritta “The End” dopo l’ultima scena, allineandosi perciò alle intenzioni dell’autrice, che lasciava tutto irrisolto.
Detto questo, stupirà senz’altro sapere che Daphne du Maurier è stata a lungo considerata una scrittrice romantica. Difficile invece assegnarle questa etichetta, dato che fu regina della suspense, maestra nel descrivere l’inquietudine, il mistero, l’angoscia e quindi innegabile esponente della letteratura gotica moderna. Un’autrice da riscoprire.